“La deflagrazione è stata causata dalla donna”: cos’è successo nell’esplosione del casolare a Castel d’Azzano

La casa di Castel d’Azzano in cui la scorsa notte hanno trovato la morte i tre carabinieri Marco Piffari, Valerio Daprà e Davide Bernardello era stata attentamente trasformata in una trappola letale. La conferma che la tragedia costata la vita ai tre militari non è stata il frutto di un fortuito incidente o di una fuga di gas è arrivata nella tarda mattinata di oggi per bocca del procuratore capo di Verona, Raffaele Tito, giunto sul luogo della strage durante i rilievi. Si è trattato, ha dichiarato il magistrato con voce rotta dall’emozione, di "un fatto volontario", di un piano messo in atto dai fratelli Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, agricoltori di circa sessant'anni che avevano deciso da tempo di barricarsi nel casolare fatto esplodere subito dopo l'arrivo delle forze dell'ordine.
I tre, che avevano minacciato un gesto estremo simile anche un anno fa, sostenevano di essere stati "ingannati" e che una sentenza del Tribunale che li sfrattava dal casolare era sbagliata. La vicenda nasce da un mutuo che avrebbero sottoscritto nel 2014, con l'ipoteca di campi e casa. I tre avevano però sempre sostenuto di non aver mai firmato i documenti per il prestito, e che anzi le firme erano state contraffatte. L'iter giudiziario era però arrivato fino alla decisione di esecuzione dell'esproprio. Mossi da una rabbia incontrollabile, i fratelli Ramponi hanno pianificato fin nei minimi dettagli la trappola tesa la scorsa notte alle forze dell'ordine, una trappola che scattata poco prima che i carabinieri aprissero la porta d'ingresso.

"Non siamo sicuri, ma pare che un innesco delle bombole a gas sia stato fatto con una bottiglia molotov. Sicuramente è un fatto volontario, non c’è dubbio", ha spiegato Tito. Il magistrato ha poi precisato che non si trattava di un’operazione di sfratto, come inizialmente ipotizzato: "Non era uno sfratto, io non ho delegato lo sfratto: ho delegato la perquisizione alla ricerca di questi prodotti, questo era lo scopo della perquisizione. Il giudice civile aveva ordinato l’ordine di liberazione l’11 ottobre".
Il magistrato ha infatti riferito che delle molotov sul tetto dell'edificio erano state fotografate dai carabinieri nei giorni precedenti all'operazione, poco dopo che i tre fratelli avevano rivolto delle minacce esplicita a un avvocato. "Delle bottiglie molotov sul tetto c'erano e io volevo controllare insieme ai carabinieri", ha spiegato Tito, sottolineando che era "una cosa che abbiamo discusso anche in prefettura, erano tutti d'accordo di verificare se effettivamente queste bottiglie esistessero, e pare che esistessero". D'altronde "l'innesco delle bombole a gas è stato fatto proprio con una bottiglia molotov, almeno così pare: è una delle ipotesi".
Secondo quanto emerso dalle prime indagini condotte dalla Procura, i fratelli Ramponi – residenti nella casa poi esplosa – avrebbero agito con premeditazione, preparando l’ambiente per un’azione estrema. "Le forze dell’ordine – carabinieri, vigili del fuoco e polizia – avevano fatto un’attenta pianificazione. L’azione è stata talmente violenta che era difficile da prevedere", ha sottolineato Tito, aggiungendo che "stiamo valutando se effettivamente c'è strage, valuteranno i carabinieri, sicuramente è un omicidio premeditato e volontario. Secondo noi, secondo i carabinieri, non c'è dubbio. Abbiamo le bodycam, aspettiamo di avere qualche dettaglio". Prima dell'esplosione "gli operatori hanno sentito un fischio, probabilmente delle bombole che venivano aperte".
Il procuratore ha descritto la scena del sopralluogo come una delle più dure della sua carriera: "Era una casa disastrata, senza luce, non so neanche se c’era l’acqua. Era una casa veramente fatiscente, senza allaccio della corrente elettrica: una casa per modo di dire". Poi il ricordo più straziante: "Sono abbastanza ‘vecchietto’, ma una cosa che mi ha colpito moltissimo è stata vedere i carabinieri in divisa con il lenzuolo sopra la faccia. Questa è stata la cosa che più mi ha colpito e devo dire che mi vengono quasi le lacrime agli occhi". Visibilmente provato, Tito ha aggiunto: "Ho visto i carabinieri portati via da sotto le macerie e mi ha molto colpito: è una tragedia che non ha eguali. Una cosa è una guerra di mafia, un’altra è morire così".
Anche il colonnello Claudio Papagno, comandante provinciale dei Carabinieri di Verona, ha confermato la premeditazione: "I nostri carabinieri stavano guadagnando l'accesso all'abitazione e mentre salivano per le scale sono stati colpiti da questa fortissima esplosione causata dalla deflagrazione di una bombola di gas, proprio da uno dei soggetti che occupavano l'abitazione", ha dichiarato.
Nello specifico, "la deflagrazione è stata causata dalla donna (Maria Luisa Ramponi, ndr) che con un accendino ha dato fuoco alla bombola di gas già accesa". Il colonnello ha anche confermato che non si trattava di uno sfratto: "Stavamo eseguendo dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria – ha aggiunto – ma nessuno poteva aspettarsi un gesto di tale follia". I carabinieri stavano eseguendo un decreto di perquisizione: "Dalla visione che avevamo fatto precedentemente con dei droni, avevamo visto che sul tetto c'era una serie di bottiglie molotov, quindi c'era il concreto pericolo che ci potessero essere armi ed esplosivi all'interno". I fratelli Ramponi "sono stati catturati tutti e tre, attualmente sono in stato di arresto e la loro posizione è al vaglio dell'autorità giudiziaria". Maria Luisa Ramponi "è attualmente in ospedale ricoverata".
All'interno dell'abitazione, al momento dell'esplosione, c'era solo lei: "I due fratelli erano in un cortile e alla nostra vista sono subito fuggiti". Uno, Dino, è stato catturato quasi subito. L'altro, Franco, è stato catturato in mattinata.