“Da tre anni lavoro come chef in Spagna, qui meritocrazia e diritti. In Italia mi dicevano che costavo troppo”

"L'Italia mi manca ma non penso di tornare perché le istituzioni non tutelano le persone, i lavoratori".
A parlare è lo chef Vittorio Astorino, 38 anni, che ha contattato Fanpage.it per raccontare la sua esperienza professionale e le motivazioni che lo hanno spinto a trasferirsi stabilmente in Spagna.
"Vengo da una famiglia di 5 persone, mio papà era muratore e mia madre casalinga. Sono cresciuto a Torino e a 12 anni ho cominciato ad avvicinarmi al mondo della cucina, frequentando i corsi dell'istituto alberghiero".

"Lì però ho trovato più un liceo che un istituto professionale. Si faceva poco a livello pratico e questo lavoro lo si impara solo facendo. Finiti i cinque anni d'istituto una persona in questo modo non può diventare cuoco", osserva lo chef.
"Quindi, dopo il primo semestre, vedendo che non c'era atto pratico di cucina, ho deciso di ritirarmi per iniziare, quasi per gioco, a lavorare in un ristorante vicino casa. Il primo giorno di lavoro mi misero a pelare 50 chili di patate, ho iniziato con la gavetta vera e propria".
Nel locale dove ha iniziato a imparare il mestiere Astorino ha lavorato fino ai 18 anni per poi trasferirsi in Germania. "Sono rimasto lì più di un anno. All'inizio lavoravo in locali italiani dove però ho trovato la stessa mentalità che c'è in Italia: turni da 10/12 ore con paghe abbastanza basse".
"Così ho cominciato a lavorare con datori tedeschi e ho trovato una bella differenza", ricorda. "Lavoravo cinque giorni, con due di riposo, 40 ore a settimana, compreso vitto e alloggio, e prendevo 2800 euro. È lì che ho iniziato la mia carriera da chef, lavorando in hotel a 5 stelle a Monaco e Berlino".
"Poi sono andato in Svizzera e a 21 anni ero chef executive in una catena di alberghi di lusso con più di 36 cuochi sotto di me".
Dopo il periodo trascorso in Svizzera, lo chef decide di tornare in Italia dove, purtroppo, subisce un grave infortunio con un montacarichi. "Ho perso il 30% dell'uso di una mano. E lì ho capito cos'è l'Italia, le leggi sul mondo del lavoro nella ristorazione", ci racconta.
"Mi sono ferito al polso sinistro durante un servizio, con una lacerazione di nervo, tendine e arterie, ho subito 10 operazioni chirurgiche. Il kit di primo soccorso del ristorante era vuoto e, quando chiesi ai titolari di accompagnarmi in ospedale con la macchina, mi risposero che gli avrei sporcato la macchina".
"Mi ha portato un cuoco che è stato licenziato per abbandono del posto di lavoro. E dopo poco è arrivato anche a me il licenziamento. Dopo 10 anni di battaglia legale, ho ricevuto un risarcimento, ho riottenuto le abilitazioni che avevo perso dopo l'incidente e nel 2015 ho aperto la mia prima pizzeria d'asporto a Torino".
Tre anni fa, però, lo chef ha deciso di vendere tutto e di trasferirsi in Spagna. "Il locale mi ha dato tante soddisfazioni ma in Italia mi sentivo dire che a 35 anni ero troppo vecchio per essere assunto, che costavo troppo".
In Spagna Astorino ha trovato grande attenzione ai diritti dei lavoratori. "Lavoro 5 giorni, con due di riposo e 40 ore settimanali, non un minuto in più. Qui i locali cha fanno pranzo e cena hanno doppia squadra. Io non guadagno meno di 2500/2800 euro, è quello che chiedo quando mi chiamano per lavorare".
In Spagna non esiste l'apprendistato, ci spiega lo chef, non ci sono agevolazioni se un datore di lavoro assume un giovane o una persona più grande, tutti sono allo stesso livello. "Ho trovato meritocrazia sulla professionalità", osserva.
"Ogni tanto torno in Italia, anche quest'estate sono rientrato per alcuni impegni lavorativi, ma qui vedo che i colleghi non vengono pagati il giusto, quello che meritano. Molti datori danno una 1/3 in busta paga e il resto ‘in nero', lo fanno tanti ristoranti", spiega Astorino.
"Capisco che ci siano dei costi da affrontare, ho avuto un ristorante anche io, ma se non posso permettermi un lavoratore non lo assumo. La correttezza dev'essere sempre la prima cosa".
"Il messaggio che voglio mandare ai miei colleghi è di farsi valere con le aziende. Se un datore di lavoro non vi dà quello che chiedete, chiudete perché ci sarà sempre la persona disposta a pagare per la professionalità".
Lo chef ricorda che il mestiere "è stressante e faticoso, non è solo mettersi dietro a un fornello con una padella. C'è anche una formazione continua. E questa è una professionalità che bisogna riconoscere. Il cuoco non deve lavorare 10/12 ore perché dentro una cucina è come lavorarne 48″.
E sul tema dei giovani che si stanno allontanando dal mondo della ristorazione commenta: "È normale che lo facciano. Si dicono: ‘Ma perché devo lavorare tutte queste ore per 1200 euro?'. È ovvio che non vogliano farlo".
Secondo Astorino, in Italia mancano i controlli sull'operato dei datori di lavoro. "Bisognerebbe farne molti di più ma non vengono fatti e spesso sono concordati".
Lo chef conclude: "Oggi non scendo a compromessi con nessuno. Ed è vero che all'inizio bisogna essere umili, fare tanta esperienza, ma il lavoro va pagato, tutti i lavori. E non con i 2 euro all'ora che danno in Italia".
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