
Il delitto di Garlasco è il femminicidio di Chiara Poggi, 26 anni, figlia di Rita Preda e Giuseppe, sorella maggiore di Marco, laureata in Economia ed impiegata a Milano.
Chiara uccisa da una furia cieca, colpita all’interno dell’abitazione familiare mentre era sola in casa perché il resto della sua famiglia si trovava in vacanza e rinvenuta cadavere, riversa per le scale che portano al garage, da Alberto Stasi, il suo fidanzato, condannato in via definitiva per quell’omicidio.
Chiara viene uccisa nel 2007, in un’epoca in cui il termine femminicidio non era ancora in uso. Verrà infatti utilizzato per la prima volta in un contesto legislativo nel 2013, anno in cui viene ufficialmente riconosciuto nel nostro Paese con il decreto legge n. 93 del 2013.
Da quel momento in poi tutti abbiamo imparato (o avremmo dovuto farlo) a parlare di casi come questo facendo attenzione a non adottare linguaggi, immagini, riferimenti o termini stereotipati che possano rivittimizzare la donna uccisa.
Dovremmo aver acquisito che si dovrebbe sempre evitare di romanticizzare un femminicidio, riconducendone il movente alla gelosia, all’amore o a torbidi quanto fantasiosi intrighi relazionali. Perché la trattazione, anche narrativa, dei femminicidi con queste modalità implica che alla vittima in qualche modo, per condotte comportamentali poco chiare o non “condivisibili”, venga addossata parte della responsabilità di ciò che ha subito. Dovrebbe essere pertanto una prassi condivisa, quella che escluda termini riconducibili ad un “lessico sentimentale”, nella narrazione dei crimini di genere o che indaghi morbosamente nella vita intima ed affettiva della donna.
Altra cosa sono le attività di indagine, nel corso delle quali gli inquirenti hanno il dovere di acquisire quante più informazioni possibili riguardanti la vittima per poterne tracciare un profilo vittimologico ed effettuare quella che viene definita l’autopsia piscologica. Poter cioè effettuare un’analisi completa delle caratteristiche della vittima in modo da consentire possibili inferenze deduttive circa ipotesi di movente, dinamiche precipitanti, modus operandi e di determinazione della firma dell'autore. Si tratta di una ricostruzione retrospettiva della vita della persona offesa capace di individuare aspetti che ne rivelino le intenzioni rispetto alla propria morte, ne forniscano indizi sul tipo di decesso, sul livello di partecipazione alle dinamiche del decesso e spieghino i motivi per cui la morte è avvenuta in quel particolare momento. È fondamentale pertanto ricavare quanti più elementi possibili sulla vittima, le sue frequentazioni, le sue relazioni, il suo stato psichico, il suo lavoro ecc. per riuscire a ricavarne il profilo psicologico e comprenderne lo stato mentale ed esistenziale prima del decesso, in modo da valutare i fattori specifici che possano aver concorso alla morte stessa.
Penso sia condivisibile rilevare che sin da quel lontano 2007, la figura di Chiara, unica vittima di questa vicenda, sia rimasta sullo sfondo di una narrazione che si è sempre maggiormente concentrata sul profilo dell’indagato, poi condannato Alberto Stasi, sulle attività di indagine, sulle lotte tra periti e sulle varie figure che sono orbitate intorno a questa vicenda.
Oggi nel filone di questa nuova indagine della Procura di Pavia, sembra che alcuni elementi forse tralasciati o mal considerati nel corso dell’indagine condotta dalla Procura di Vigevano siano stati ripresi, approfonditi e stiano portando alla costruzione di nuove ipotesi investigative. Alcune di questi “nuovi” elementi riguarderebbero anche la vita di Chiara, le sue relazioni, la qualità dei rapporti che aveva con le persone che facevano parte della sua vita.
Negli ultimi giorni però, molte, troppe sono state le indiscrezioni, molte da confermare per altro, diffuse su Chiara, a partire dalla testimonianza resa da un uomo oggi deceduto, già ascoltato dai carabinieri e le cui dichiarazioni sarebbero state considerate inattendibili o allo scambio di mail che la ragazza aveva avuto con una sua amica. Anche in questo caso l’amica di Chiara era stata ascoltata ed aveva fatto il nome di un collega di lavoro della ragazza, il cui alibi era stato verificato.
È per questo che oggi Rita, Giuseppe e Marco parlano, per il tramite del loro legale di una vera e propria “assillante campagna diffamatoria” fatta di “fughe di notizie, vere o presunte” in merito a quelle che sarebbero le attività investigative poste in essere dalla Procura di Pavia.
Una narrazione a latere della attività d’indagine che nulla aggiunge al legittimo diritto di verità e giustizia ma che pone Chiara, forse per la prima volta in diciotto anni, al centro di un’attenzione morbosa che non le garantisce alcun rispetto.
