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A chi farebbe bene un euro debole? Alle grandi aziende europee

Le imprese europee provano a sfuggire alla crisi aumentando l’esposizione sui mercati esteri. Mentre le Pmi e le imprese a crescita puntano su Europa e Nord America, le grandi corporation scommettono sugli emergenti…
A cura di Luca Spoldi
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La ripresa non arriverà tanto facilmente in Europa. Lo si capisce non solo dalla reticenza con cui i governi europei provano a mettere in campo risorse (limitatissime) per far ripartire l’economia, dopo aver passato oltre due anni a cercare di convincersi che il paradosso della repressione fiscale “virtuosa” e per questo “espansiva” potesse vivere in un mondo diverso da quello delle idee (anche lì ha peraltro avuto ex post qualche problema di coabitazione con la logica e finanche la matematica, come si è scoperto di recente). Lo si capisce soprattutto da come le aziende europee continuano a diversificare il più possibile i propri investimenti, cercando di trarre vantaggio da quella globalizzazione che alcuni additano come causa di tutti i mali evitando così di dire che la causa vera risiede a monte, nell’aver accumulato per decenni una crescita “drogata” dal debito e nel non essere stati in grado di gestire la globalizzazione stessa, per incapacità o interesse di parte.

Una ricerca di Morgan Stanley, ad esempio, segnala oggi che la quota dei ricavi europei generati all’interno dell’Europa sviluppata dovrebbe calare al 46% a fine 2013 dal 71% di fine 1997, mentre i mercati emergenti dovrebbero contribuire al 33% per le vendite (con la sola Cina che rappresenta la fonte del 6% dei ricavi europei), “il che rappresenterebbe un incremento di 2,8 volte in 16 anni”. Gli analisti si aspettano poi che l’esposizione al mercato del Nord America a fine anno possa tornare al livello del 2005 (il 18% del giro d’affari delle aziende europee, il 16% se si tiene conto solo degli Stati Uniti), mentre l’America Latina dovrebbe avere un peso pari a circa la metà (il 9% dei ricavi aggregati), con alcuni paesi maggiormente legati per ragioni storiche e culturali (all’America Latina fa capo il 29% dei ricavi complessive delle aziende spagnole, il 13% o più nel caso delle aziende italiane e portoghesi) ed altri quasi del tutto assenti (la Grecia e l’Irlanda hanno un’esposizione inferiore al 2% dei ricavi). Insomma: chi può prova a mettere in pratica la ricetta "suggerita" finora di puntare sulle esportazioni, visto che la domanda interna è stata (e rischia di restare a lungo) massacrata dalla crescita del prelievo fiscale e contemporaneamente dalle difficoltà del mercato del lavoro che ha determinato una caduta del reddito disponibile.

Gli analisti aggiungono che i consumi privati contribuiscono attualmente al 42% dei ricavi delle aziende europee, mentre il 51% dei ricavi totali sono legati alle spese delle aziende e la spesa pubblica contribuisce appena per il restante 7% delle vendite. Naturalmente l’esposizione per area geografica e per tipologia di spesa varia a seconda della tipologia e dimensione aziendale: le Pmi sono in generale maggiormente dipendente dai mercati dell’Europa sviluppata, le grandi aziende presentano esposizioni ai mercati emergenti molto più rilevanti (in media il 41% dei ricavi contro il 23% delle Pmi). Interessante notare come le aziende “value” (tipicamente presenti in settori maturi, che spesse volte hanno necessità di un aiuto da parte dello stato sotto forma di spesa pubblica) sono maggiormente concentrate sull’Europa, le aziende “growth” (più innovative e a maggior crescita) sono invece maggiormente esposte al Nord America e ai mercati emergenti.

Ne consegue che uno scenario di euro più debole beneficia maggiormente alcune grandi aziende come Eni, Total, Stora Enso, Repsol, Havas, Danone, Adidas, Puma, Bayer, Essilor International, piuttosto che Celesio, L’Oreal, Crh o Tod’s e molto meno le piccole e medie imprese più o meno innovative che siano. Queste ultime, par di capire, in qualche modo debbono trovare il modo di sopravvivere ogni giorno a una concorrenza molto più forte e diffusa che non quella affrontata dalle grandi corporation ormai consolidate e quindi non si giocano la partita solo sul costo dei prodotti/servizi o sul cambio, ma su una maggiore capacità di essere vicini ai propri clienti e rispondere al meglio alle loro esigenze. Aziende più piccole, dunque, ma non meno valide, anzi.

Tra le tante Pmi che meriterebbero sempre una menzione per l’impegno con cui svolgono la propria attività stasera voglio segnalarvi Ambrogio telecomunicazioni, azienda toscana fondata (a Prato) 10 anni fa da Franco Tocci e Riccardo Signorini, la cui “missione” è essere il “maggiordomo” delle aziende, offrendo servizi personalizzati nel campo delle telecomunicazioni. Un servizio veloce, attento e costante hanno fatto guadagnare rapidamente terreno al gruppo (presente in Italia con 22 sedi, destinate a salire a 100 entro fine 2015), che in questo periodo è impegnato nello sviluppo di nuovi servizi su piattaforma cloud. I risultati si sono visti: +80% la crescita media del fatturato dal 2003 a oggi (+17% la media negli anni di crisi, tra il 2009 e il 2011, quando il giro d’affari è salito da 3,22 a 5,46 milioni di euro e il Mol è passato da poco più di 262 mila euro a oltre 1,79 milioni), +51% la crescita media del numero di dipendenti (50, oltre a 200 commerciali) dal 2003 a oggi. Numeri che vorremmo vedere più spesso e che il terzo posto in classifica di Moto 3 del team Ambrogio Racing, prima squadra del motomondiale ad impatto zero grazie all’adesione al progetto “Io compenso” in qualche modo consente già oggi di festeggiare. In attesa di diventare “grandi” e poter celebrare ulteriori traguardi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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