“La Russia potrebbe fare i conti con i suoi limiti, pace più vicina”: parla l’esperto dei negoziati di Istanbul

“A Istanbul lunedì scorso è andata in scena una farsa, il Cremlino continua la guerra per conquistare più territori ma ha anche molte ragioni per cercare un accordo. Non sarà solo l’imperialismo a dettare le sue decisioni”: parola di Sergey Radchenko. Professore alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies e autore di "To Run the World: The Kremlin’s Cold War Bid for Global Power". Radchenko, insieme a Samuel Charap, ha firmato due articoli per Foreign Affairs sui motivi del fallimento dei colloqui di pace del 2022 e del possibile successo di trattative future. Del primo articolo si è parlato molto, quasi sempre a sproposito, per affermare che Vladimir Putin voleva la pace e Volodymyr Zelensky, istigato da alleati occidentali l’ha rifiutata. In realtà, l’articolo spiegava che non si era per niente vicini a una soluzione. Il secondo articolo, del mese scorso, prevedeva molto di quanto avvenuto all’inizio della settima nella capitale turca.

Un’oretta e via, comunicati già pronti: il tavolo di Istanbul è solo propaganda? Nessuna delle due parti vuole negoziare sul serio?
I veri negoziati si svolgono in riservatezza, non con incontri così brevi e comunicati pubblici. Russia e Ucraina hanno ribadito posizioni massimaliste, più per l’opinione pubblica che per trattare. Detto ciò, è comunque significativo che si siano parlati: lo scambio di prigionieri e la ripresa del dialogo diretto sono segnali importanti, anche se non siamo ancora vicini a una vera trattativa.
Si parla di un nuovo incontro in autunno. Possibile?
Potrebbe avvenire anche prima, tutto dipenderà da cosa avverrà sul teatro di guerra in estate, stagione cruciale per le operazioni militari. I russi potrebbero spingere per avanzare ancora nel Donbass.
E gli ucraini potrebbero mettere a segno altre clamorose azioni contro obiettivi in Russia…
Le operazioni ucraine sul territorio nemico sono rilevanti sul piano simbolico, ma non cambiano i rapporti di forza sul campo.
Però il Cremlino sembra sotto shock dopo l’attacco sulle basi dei suoi bombardieri strategici. Nessuna reazione immediata. E a Istanbul non pare se ne sia discusso. Perché?
Per motivi propagandistici interni. I media russi preferiscono concentrarsi su attacchi come i sabotaggi a Kursk e Bryansk, con vittime civili, per rafforzare la narrazione di Kyiv come “stato terrorista”. Del blitz sulle basi aeree forse a Istanbul si è parlato. Non lo sappiamo, perché i colloqui erano a porte chiuse. In ogni caso, questi attacchi non alterano la realtà strategica: Mosca continua a guadagnare terreno.
Ma la Russia vuole davvero un accordo o con questo strano processo negoziale sta solo cercando di dividere l’Occidente?
Entrambe le cose. Putin valuta vantaggi e rischi: da un lato, vuole consolidare la propria immagine nella Storia.
Già, una cosa che da anni è diventata maledettamente importante, per lui. Ha paragonato se stesso a Pietro il Grande, per esempio. Per le conquiste territoriali. Altri lo vedono più come Ivan il Terribile…
Ma a parte questo, Putin vuole migliorare le relazioni con gli Usa per indebolire la coesione occidentale. Per ora crede di poter ottenere tutto o quasi con la forza, ma questo calcolo potrebbe cambiare. Pesa anche la situazione economica della Russia: la crescita è drogata dall’economia di guerra e i prezzi petroliferi, fondamentali per le entrate del Paese, sono scesi. Le richieste di Putin devono essere lette con attenzione. Per capire cosa sia negoziabile.
Partiamo dalle criticità: qual è la richiesta più inaccettabile, nei 12 punti presentati da Mosca al tavolo di Istanbul?
Il Cremlino vuole fondere cessate il fuoco e accordo di pace in un unico testo, rendendo tutto più complicato. Chiede il ritiro ucraino dai territori che Mosca si è annessa anche se ne controlla solo una parte, e la fine degli aiuti occidentali: entrambe condizioni irricevibili.
Per pretendere il ritiro anche da aree che ancora non controlla, l’invasore dovrebbe prima aver vinto la guerra…
Il fatto è che la Russia vuole avanzare ancora sul terreno. Finché non capirà di aver raggiunto il limite delle sue conquiste, la guerra continuerà.
Le condizioni interne imposte all’Ucraina sono negoziabili?
Sono umilianti quando non offensive per Kyiv. La condizione di indire elezioni presidenziali prima di ogni soluzione politica equivale a chiedere la testa di Zelensky su un piatto. Ma su alcuni punti — come la tutela della Chiesa Ortodossa russa o dei media filorussi — Kyiv potrebbe fare concessioni. Così come sui diritti dei russofoni. Non sono questioni al cuore del conflitto.
Putin dice di sì. E le questioni territoriali? Sono davvero centrali?
Paradossalmente, no. I territori contano sul piano militare, ma sono diventati politicamente irrilevanti dato il massimalismo delle richieste di entrambi i belligeranti. Né Kyiv né Mosca possono realisticamente imporre le loro condizioni. L’Ucraina, nel documento presentato a Istanbul chiede alla comunità internazionale il “non riconoscimento” dei territori contesi. Richiesta generica quanto irrealistica. E il documento di Mosca parla della necessità che gli stessi territori siano riconosciuti ma non specifica da chi. Non certo l’Ucraina, realisticamente. Alla fine, il confine sarà dettato da chi controllerà il terreno al momento del cessate il fuoco. I russi, intanto, sembrano abbastanza flessibili su questo punto. È probabilmente negoziabile.
Il cessate il fuoco "a fasi" proposto dalla Russia è un modo per bloccare gli aiuti occidentali?
In pratica, sì. Mosca propone uno stop graduale, contando su nuovi guadagni sul campo, magari minacciando Kharkiv per scambiare concessioni su Zaporizhzhia. Ma pretende anche la sospensione degli aiuti militari occidentali, esponendo Kyiv ai missili russi. Un compromesso potrebbe essere un cessate il fuoco breve, monitorato, con pausa temporanea delle forniture. Difficile, ma non impossibile.
Parliamo delle garanzie di sicurezza, cruciali per l’Ucraina. In un recente articolo che lei ha scritto con Samuel Charap su Foreign Affairs si spiega che nessuno le sta offrendo.
Paradossalmente, Kyiv negozia con Mosca su garanzie che solo Washington e Bruxelles possono offrire: un cortocircuito negoziale. E nessun Paese occidentale sembra disposto a far la guerra alla Russia se — dopo futuri accordi per fermare il conflitto in corso — invaderà di nuovo l’Ucraina. Rivelatore è il fatto che Mosca nel memorandum di Istanbul non parla di garanzie. È un irrigidimento rispetto alle trattative per il cessate il fuoco che ci furono — sempre a Istanbul — nel marzo e nell’aprile del 2022. Allora il Cremlino pretendeva un suo diritto di veto nel sistema di garanzie.
Come dire che la Russia voleva poter decidere se si doveva far la guerra alla Russia nel caso in cui la Russia aggredisse di nuovo l’Ucraina. E su questo — non stupisce — si interruppe il negoziato del 2022…
Forse la posizione russa poteva essere ancora negoziabile.
Chi lo sa? Ma oggi quale sarebbe il compromesso “meno peggiore”?
Proprio un compromesso che riprendesse spunti del primo negoziato di Istanbul. In particolare, il riconoscimento in via di principio di limiti alle forze armate ucraine. Kyiv oggi rifiuta il concetto, ma lo aveva accettato nel 2022, discutendone solo l’entità. Oggi però lo scenario è diverso: droni, missili a lunga gittata, armi sofisticate cambiano tutto. Da questo punto di vista, l’Ucraina nel 2025 è messa molto meglio di quanto lo fosse nel 2022.
Molti sostengono il contrario…
Kyiv oggi costruisce missili e droni, dimostra di poter colpire il territorio russo in profondità. Nemmeno la capacità nucleare nemica è al riparo, si è visto nel blitz contro i bombardieri strategici. La sicurezza è un problema enorme anche per la Russia. Non è pensabile che Mosca sia guidata nelle sue decisioni solo da pulsioni imperialistiche. Ogni potenziale soluzione politica dovrà prendere in considerazione la sicurezza. Stabilire, in un futuro accordo, che tipo e quanti armamenti siano ammessi per l’Ucraina potrebbe essere difficile. Più facile un’intesa su neutralità e garanzie. Ma l’Occidente deve esporsi, e offrirle a Kyiv.
Siamo più vicini alla pace rispetto a un anno fa?
Sì, per logoramento. Non per un cambiamento ideologico, ma per la pressione sul campo: Zelensky lo ha detto chiaramente, l’Ucraina non può reggere per altri dieci anni. Anche la Russia sta andando incontro a difficoltà economiche. E, con tutti i suoi limiti, Trump ha mosso qualcosa sul fronte negoziale. Il fatto che russi e ucraini si parlino è già un passo.
L’ineffabile ex presidente russo Dmitry Medvedev dice apertamente che Mosca non vuole la pace. Lei cosa pensa?
Non è vero. Se potesse, Mosca occuperebbe Kyiv. Ma non può. Deve fare i conti con i propri limiti. L’ambizione resta, ma ora è costretta a valutare alternative più pragmatiche.