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Opinioni

Nuova tegola in testa a Mps: la Bce vorrebbe un aumento da 3,5 miliardi

Dal 2008 a oggi Mps ha chiesto al mercato 12,5 miliardi di euro, bruciando 15 miliardi. Ora il nuovo aumento da 2,5 miliardi potrebbe non bastare alla Bce che ne chiederebbe 3,5.
A cura di Luca Spoldi
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La “strigliata” della Bce è chiara: le banche europee debbono essere meno precipitose nella distribuzione di utili agli azionisti sotto forma di dividendi e più attente ad elargire compensi eccessivamente generosi ai loro manager. La dichiarazione rischia di far saltare dalla sedia i vertici di molte banche italiane, i cui azionisti di riferimenti restano in molti casi fondazioni ai vertici delle quali siedono politici locali o nazionali dalle ampie ambizioni o a fine carriera a seconda delle circostanze. Ma il richiamo all’ordine di Mario Draghi arriva tardi almeno per un istituto tricolore, che l’ex numero uno di Banca d’Italia deve conoscere molto bene: Mps. Secondo voci rilanciate ieri notte dall’agenzia Reuters, infatti, nei colloqui tra la Bce e i vertici dell’istituto sarebbe emersa l’indicazione da parte di Eurotower di rafforzare ulteriormente il capitale rispetto ai numeri già resi noti e presentati nel piano di capitale sul quale la stessa Bce ha avanzato osservazioni a metà mese (osservazioni che le banche europee avevano tempo di confutare fino a fine mese).

Reuters in particolare, citando due “fonti vicine alla vicenda”, ha parlato nella tarda serata di ieri di un possibile incremento da 2,5 a 3,5 miliardi massimi dell’aumento di capitale che Siena dovrebbe lanciare in primavera, aggiungendo che però per ora non c’è una cifra definitiva e che sono possibili ancora minimi aggiustamenti nelle prossime ore, a fronte di un orientamento della Bce a giudicare insufficiente un aumento inferiore ai 3 miliardi di euro. Immediata la reazione del titolo a Piazza Affari, dove fin dalla mattinata Mps ha perso quota venendo ripetutamente sospesa al ribasso. A fine giornata il prezzo cade a 40 centesimi per azione (-7,83%), con scambi superiori alla media e pari a oltre 315,5 milioni di azioni passate di mano. La capitalizzazione scende così a 2,229 miliardi di euro, il che significa che comunque vada l’aumento avrà un effetto diluitivo tra il 55% e il 60%. Come dire che chi non dovesse parteciparvi vedrebbe più che dimezzato il valore della propria partecipazione.

Un rischio in parte già scontato dal mercato, sostengono alcuni analisti, ma certo dopo che dal 2008 al 2014 Mps ha già chiesto al mercato in successivi aumenti di capitale qualcosa come 12,5 miliardi di euro (5 vennero chiesti nel 2008 per acquisire Antonveneta da Banco Santander, 2,15 nel 2011 per rimborsare, cosa poi non avvenuta, 2 miliardi di “Tremonti bond” sottoscritti dal Tesoro dopo il crack Lehman Brothers per evitare il collasso dell’istituto, altri 5 lo scorso anno per rimborsare tra l’altro 3,5 dei 4 miliardi di “Monti bond” che nel 2012 sostituirono i “Tremonti bond”) chiedere altri 3-3,5 miliardi non sarà facile, tanto più che nel 2008 la capitalizzazione di borsa di Mps valeva circa 5 miliardi di euro e che dai 22,4 euro toccati dal titolo nel maggio 2007 a oggi la perdita è già stata pari al 98% abbondante o che, se preferite, a Siena sono riusciti a bruciare in poco più di sei anni qualcosa come 15 miliardi di euro, circa tre annualità di Imu sulla prima casa o un anno e mezzo di “bonus 80 euro” se vi piacciono i raffronti bizzarri ma eloquenti.

Nel corso di questi anni tra operazioni sbagliate e svalutazione di attivi si sono bruciati con Mps molti “bei nomi” della finanza italiana e non: dagli Aleotti (proprietari del gruppo farmaceutico Menarini), che lo scorso anno scesero dal 4% (pagato quasi 170 milioni di euro) attorno all’1% sulla base di una valutazione che non superava i 102 milioni complessivi (e dunque con una perdita di 70 milioni di euro) alla stessa Fondazione Mps, che aveva investito nei titoli della “propria” banca 4,8 miliardi vedendo poi bruciati 4 miliardi da successive svalutazioni e minusvalenze conseguenti a successive cessioni delle proprie quote sul mercato. L’ultima cessione, quella dello scorso anno a Bcg Pactual (il 4,5% di Mps) e Fintech Advisory (il 2%), ha fatto scendere la partecipazione residua di Palazzo Sansedoni al 2,5%, quota che è stata poi confermata sottoscrivendo, per 125 milioni di euro di esborso, l’aumento di capitale 2014.

Una partecipazione in pratica pagata dalle due investment company latino americane e dagli altri investitori che avevano rilevato nel complesso il 31% di capitale di Mps ceduto ante aumento dalla Fondazione Mps per complessivi 851,9 milioni (equivalenti a poco più di 23,5 centesimi di euro per azione post aumento). Ora il nuovo aumento rischia di portare ad un imprevisto “bis” che rischia di azzerare gran parte della plusvalenza che nel frattempo era maturata sulle partecipazioni dei tre soci “pattisti” (Fondazione Mps, Btg Pactual e Fintech Advisory, appunto), spostando il rischio dell’investimento ancor più sulle spalle delle due società d’investimento che dovranno scegliere se investire fino ad altri 245 milioni di euro (il 7% di 3,5 miliardi) o veder dimezzato il valore delle loro quote (a questi livelli scendendo attorno o sotto i 20 centesimi per titolo). Dicendo di stare attenti a non remunerare troppo azionisti e manager la Bce dice una grande verità, ma per Mps pare decisamente troppo tardi per recriminare sul latte versato in questi sette anni.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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