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Il Carnevale: la storia e le maschere più popolari

La storia del Carnevale vista attraverso gli occhi delle maschere più rappresentative della tradizione popolare: la nascita, il significato e le caratteristiche principali.
A cura di Cristian Basile
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Carnevale

Come per la maggior parte delle feste cristiane, anche quella del Carnevale, affonda le sue radici in epoche lontanissime, ispirandosi a tradizioni pagane molto antiche. La parola "Carnevale", dal latino carnem levare, togliere la carne, che indica il periodo che precede la Quaresima durante la quale la tradizione religiosa cristiana proibisce di mangiare la carne e che corrisponde alla celebrazione romana dei carnasciali, dei lauti banchetti prima di un lungo digiuno.

Ed è proprio dalla tradizione romana che il Carnevale attinge quelle che poi diventeranno le sue peculiarità e precisamente dalle celebrazioni dei Saturnali, in cui per un breve periodo di tempo, venivano sospese le leggi in vigore, venivano sciolti i vincoli sociali e le gerarchie comuni in un rovesciamento dell'ordine che sfociava spesso nello scherzo e nella sregolatezza. Questo rovesciamento delle regole ha portato alla tradizione di mascherarsi, che è proprio la caratteristica più duratura ed originale del carnevale. E' stato l'avvento e la diffusione della religione cristiana a mitigare le origini pagane del Carnevale facendogli assumere il significato di inizio ufficiale delle celebrazioni quaresimali.

Ma perchè si indossanno le maschere? Da dove nascono le celeberrime maschere italiane di, solo per citarne alcune, Pulcinella, Arlecchino, Brighella, Pierrot, Colombina, Meneghino e Gianduja? L'uso della maschera si perde nell'alba dei tempi per gli usi più svariati, da quello religioso e funerario come nell'antico egitto a quello teatrale come in Grecia o a quello rituale dell'antica Roma. Ed è proprio dal teatro che nascono le nostre maschere e precisamente dalla Commedia dell'Arte, fenomeno teatrale nato in Italia verso il 1500 rivolto alla gente comune, in contrapposizione al Teatro di Corte, accademico ed elitario, e come risposta ai poteri dominante della Chiesa e degli aristocratici e dei governanti.

Proprio per questo motivo una delle rappresentazioni più comune da parte della commedia dell'arte era la cosidetta “beffa del servo”, la rivincita del servo umile nei confronti del suo padrone, spesso allegoria del potente di turno. Nascono così la maggior parte dei personaggi che conosciamo che alla maschera aggiungono un abbigliamento caratteristico:

Arlecchino, maschera originaria di Bergamo e diventato famoso grazie a Carlo Goldoni ne " Il servitore di due padroni", è noto per il suo costume composto da una maschera nera dai lineamenti demoniaci (secondo alcuni infatti deriverebbe dal demone Alichino menzionato da Dante nella Divina Commedia) e un vestito fatto di rombi lucenti multicolori. Nella commedia dell'arte è l'emblema della comicità, un servo furbo, perennemente affamato, che cerca in ogni modo di truffare padroni avari e stupidi. Molto controversa è l'origine di tale vestito che secondo alcuni dovrebbe richiamare il costume dei giullari di strada. Una leggenda invece vuole si tratti di un "abito" ricavato dagli scarti di altri tessuti da una povera donna per il figlio che intendeva prendere parte ai festeggiamenti ma non aveva alcun costume.

Pulcinella, un'altra tra le maschere più conosciute della commedia dell'arte, il suo nome deriverebbe dal napoletano "pollicino", pulcino, come a sottolineare il suo timbro buffonesco come di un roco simile ad un chiocciare. E’ il servo vivace, che canta e balla tutto il giorno, con una marcata gestualità tipica del sud e di Napoli. Il suo costume è formato da un camice bianco che si stringe in vita con una cintura, in testa un cappello bianco allungato e sul volto una maschera nera piena di rughe ed il naso adunco. Comico e drammatico, goffo e furbo allo stesso tempo, è anch'egli  dotato di una fame insaziabile è costantemente impegnato nello sforzo della sopravvivenza, e nella ricerca del cibo aguzza il suo ingegno e la sua fantasia, in una continua ricerca di espedienti per scappare alla sopraffazione dei potenti e dei ricchi.

Colombina è la maschera femminile più conosciuta, scaltra, civettuola e chiacchierona sulla scena viene spesso presentata come la fidanzata o la moglie di Arlecchino. Pur restando sempre fedele al suo amato aiuta la padrona nei suoi tradimenti amorosi raggirando il padrone cattivo. Indossa un vestito, a toppe colorate, con in testa una cuffia bianca.

Pantalone è la maschera Veneziana più conosciuta, rappresenta un vecchio mercante, ricco e avaro, alla costante ricerca di denaro che puntualmente licenzia i suoi servi quando è il momento di mangiare, lasciandoli così a perire la fame. Indossa la classica maschera nera con il naso adunco e la barba appuntita, ha una giubba rossa, brache corte con una cintura, una spada o una borsa piena di monete. In testa ha un berretto alla greca, ciabatte nere o babbucce turche con la punta all'insù e la sua origine è da ricercarsi nella "tradizionale" figura del mercante, cara alla tradizione popolare.

Brighella: Il suo nome deriva da "briga" ed infatti è un servo tuttofare sveglio e furbo. E' di Bergamo, come Arlecchino, che spesso lo affianca fino a confugurarsi come il "suo degno compare" in tanta narrativa popolare. Indossa un costume bianco con una giubba a strisce verdi e le sue caratteristiche principali sono l'arguzia dello spirito e la tendenza ad infilarsi sempre in situazioni "scottanti". Servo tuttofare e sempre in movimento, Brighella è spesso il simpatico furfante della situazione e non mancano le volte in cui, colto "con le mani nella marmellata", è costretto a darsela a gamba per evitare guai.

Meneghino è la tipica maschera di Milano, divenuto il simbolo della città. E' un lavoratore schietto, onesto e generoso, che rappresenterebbe il saggio contadino lombardo, che è andato ad abitare in città e riveste il ruolo di servitore. Il nome Meneghino, in dialetto Meneghin, deriva probabilmente dal diminutivo di Domenico, anche se molti fanno risalire la nascita di questa maschera alla figura di Meneghin Pecenna, un parrucchiere pettegolo ed impiccione. Grazie all'opera del poeta Carlo Porta la maschera di Meneghino ha poi assunto precise caratteristiche ed una vera e propria "personalità autonoma", fino a divenire uno dei  simboli della città di Milano. Indossa un costume caratterizzato da una pantalone verde con una giacca rossa, un panciotto, calze a righe orizzontali bianche e rosse, parrucca con codino ed un cappello tricorno.

Gianduja: Il suo nome potrebbe derivare dalla parola piemontese "Duja", che significa doga e per estensione botte. Oppure ancora potrebbe derivare dal francese, "Jean-andouille" ovvero Giovanni-salsiccia. Gianduja rappresenta un contadino scaltro, tranquillo e generoso, con le guance sempre rosse perchè grande amante del vino. Nel corso degli anni è diventato un vero e proprio simbolo patriottico, nonchè un grande esempio di carità cristiana. Infatti, come riporta Wikipedia, nella settimana che precede l'inizio della Quaresima, Gianduja visita ospizi, ricoveri, ospedali per bambini, distribuendo le tipiche caramelle rotonde e piatte, avvolte in un cartoccio esagonale, con impresso il suo profilo mai disgiunto dal tricorno delle armate piemontesi ottocentesche alle quali si deve l'Unità del Paese (Wikipedia). Dalla maschera deriva inoltre il nome del famoso cioccolattino torinese, il Gianduiotto, la cui forma si rifà al suo caratterisco cappello.

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