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“I Fiori del Male” di Baudelaire: passioni, perversioni e poesia 160 anni dopo

Il 25 giugno di 160 anni fa uscivano “I Fiori del Male” di Baudelaire: a partire dall’indimenticabile albatro, una profonda e ancora attuale analisi dell’angosciosa condizione umana.
A cura di Federica D'Alfonso
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Charles Baudelaire
Charles Baudelaire

Il 25 giugno del 1857 esce la prima edizione de “I Fiori del Male” di Charles Baudelaire. La raccolta di poesie rappresenta, nelle parole dello stesso Baudelaire, “un viaggio immaginario verso l'inferno”. I Fiori del Male negli anni hanno oltrepassato i confini della Parigi borghese, riunendo alcune delle liriche più belle, intense e controverse di sempre: liriche che, a distanza di 160 anni dalla loro pubblicazione, mantengono intatto il loro fascino.

Pochi giorni dopo l'uscita del volume, precisamente il 7 luglio, la direzione della Sicurezza pubblica denuncia I Fiori del Male per “ oltraggio alla morale pubblica e offesa alla morale religiosa”. La cauta e rigida borghesia parigina grida allo scandalo: il poeta e gli editori vengono condannati a pagare una multa, e a Baudelaire viene imposta la cancellazione dal testo di sei liriche, considerate pericolosamente immorali. Quattro anni dopo esce l'edizione definitiva, la stessa che oggi ha il potere di emozionare e scandalizzare con la stessa forza di un secolo e mezzo fa.

Sulle ali dell'albatro

Una delle prime edizioni stampate di "Les Fleurs du Mal"
Una delle prime edizioni stampate di "Les Fleurs du Mal"

L'inferno della vita viene sublimato dal poeta attraverso la corrispondenza intellettuale con la natura e la ricerca continua ma effimera dell'amore e del peccato: esistono piccoli istanti proibiti, che Baudelaire chiamerà “paradisi artificiali”, i quali regalano la speranza illusoria di un conforto dalle pene dell'esistenza. Un'esistenza che per il poeta sarà sempre e comunque condanna alla sofferenza e all'inadeguatezza.

“Com'è goffo e maldestro, l'alato viaggiatore! Lui, prima così bello, com'è comico e brutto!”: Baudelaire sceglie l'indimenticabile figura dell'albatro per descrivere l'angosciosa condizione esistenziale del poeta. Le sue “grandi ali bianche”, con le quali egli è capace di volare oltre la comune percezione delle cose e al di là dei confini imposti dalla società, sono per lui una condanna a morte: una vera e propria maledizione, quella del poeta, schernito, deriso e rifiutato dai “comuni marinai”, incapaci di vedere nella linea d'orizzonte del mare qualcosa da poter oltrepassare.

Il Poeta assomiglia al principe dei nembi
Che abita la tempesta e ride dell'arciere;
Ma che, esule sulla terra, al centro degli scherni,
Per le sue ali di gigante non riesce a camminare.

Un lettore senza tempo

Ritratto di Charles Baudelaire
Ritratto di Charles Baudelaire

Ma non è un caso che la poesia “Al lettore” che apre la raccolta si concluda con con queste parole: “Tu che leggi, conosci quel mostro delicato, tu, mio lettore ipocrita, mio simile, fratello”. Baudelaire voleva essere compreso, egli dedica il suo libro a coloro che gli assomigliano: è questo il suggerimento che uno dei più grandi pensatori del Novecento, Walter Benjamin, ha regalato alla lettura e alla comprensione della sua poetica.

Il filosofo tedesco ha letto, analizzato e oltrepassato i confini della lirica per restituirci l'immagine di una poesia che, a ben vedere, parla all'universale. Le passioni, la corrispondenza con la natura, l'amore, perfino le perversioni, se certamente al giorno d'oggi mutano la loro forma, restano intatte nella sostanza. Così come l'immagine di quella umanità che il poeta traccia in modo limpido e inclemente mentre vaga col pensiero per le strade di Parigi: Baudelaire vuole ancora oggi essere letto e compreso, perché ancora oggi i suoi versi si radicano al margine di una sofferenza esistenziale senza tempo.

Ma (…) in mezzo ai tanti mostri grugnenti urlanti striscianti rampicanti nell'infame serraglio dei nostri vizi abietti, uno ve n'è, più laido più malvagio ed immondo, che senza grandi gesti né grida il globo intero ridurrebbe ad un solo, enorme cimitero, che in un solo sbadiglio inghiottirebbe il mondo: il Tedio.

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