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Gli antichi romani amavano ridere: aneddoti e battute di spirito diventano leggendari

Gli antichi romani avevano una forte attitudine al riso, dalle classi sociali più umili agli imperatori, dagli scrittori ai buffoni, il loro umorismo è passato alla storia. Ne parla Mary Beard nel suo ultimo libro “Ridere nell’antica Roma”.
A cura di Silvia Buffo
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Gli antichi romani avevano un forte senso dello humor, amavano battute e barzellette, anche gli stessi imperatori che accettavano proprio per il loro spirito ilare di esser presi in giro da gente di classi sociali umili ma mal volentieri dai nobili. Diversi episodi della storia dimostrano l'attitudine e il piacere della risata nell'Antica Roma, come quando l'imperatore Commodo ghignava al centro dell'arena mostrando una testa di struzzo ai senatori, indicando con una verve decisamente sarcastica la fine che avrebbero fatto, oppure quando Cassio Dione, in prima fila al Colosseo, non riesciva a trattenersi durante gli spettacoli, ed ancora un Giulio Cesare deriso per la sua calvizie, e un Cicerone goliardico che durante la Guerra Civile, giungendo  nell'accampamento di Pompeo dopo molte esitazioni, disse "Non sono in ritardo, vedo che non c'è nulla di pronto per cena".

"Ridere nell'antica Roma", il libro di Mary Beard

L'ironia è il contorno piccante che colora la storia storia di Roma, attraverso steriotipi e fili conduttori che ci riportano direttamente alla romanità attuale. La scrittrice Mary Beard ha elaborato un libro proprio dedicato a questa tematica "Ridere nell'antica Roma", per Carocci editore, un'indagine minuziosa, quasi scientifica attraverso le varie forme della comicità che getta nuova luce su anche sui più celebri classici, dalle commedie di Plauto all’inquietante "Asino d’oro" di Apuleio. Pagine che raccontano la letteratura, ma anche il riso nella vita quotidiana: le barzellette e gli scherzi burloni, fra uomini comuni e imperatori, le beffe e i motti di spirito, senza dimenticare che ridere è spesso una questione di potere, proprio come faceva Commodo quando in arena mostrava alla classe senatoria, proprio come in uno show, la testa di struzzo.

L'oratoria è più efficace se si lascia contaminare dall'ironia: parola di Quintiliano

E non solo dal punto di vista storico, ma anche da quello letterario, si apre un mondo quando si indaga sul legame fra antichi romani e umorismo, messo in atto in molte opere classice atttraverso il pungente espediente dell'ironia. Quintiliano, intenditore di registri stilistici, lo ammette, perché è un dato oggettivo: la retorica e l'ironia sono più efficaci se si avvalgono di mezzi espressivi, quali l'umorismo tagliente, che richiamano senza mezze misure il mimo, o meglio il ‘buffone', spietato e senza limiti, l'alter-ego calzante dell'aristocratico. La letteratura è più fluente se passa attraverso il riso, ed anche più incisiva a livello di contenuti.

Il riso, la musura di un'identità culturale e sociologica

Spiega Mary Beard, come il parametro del riso, funga in molti casi da vera e propria coordinata sociologica:

Non intendo certo sostenere che l’elitaria cultura romana avesse uno schema fisso dei diversi modi di ridere nelle varie regioni dell’impero e oltre, né che sia possibile mappare le tipologie di riso delle popolazioni del mondo romano. È evidente tuttavia che il riso era una coordinata, per quanto mutevole e instabile, che i Romani impiegavano per tracciare le differenze culturali e per definire (e talvolta criticare) sé stessi. Questi esempi di “riflessione intorno al riso” dei Romani tendono però a fare della storia del riso un argomento più semplice di quanto non sia. Ciò significa […] che cercare di riconoscere situazioni, scherzi, emozioni e parole che hanno suscitato (o potrebbero aver suscitato) il riso del passato ci porta dritto al cuore dei classici dilemmi di ogni sapere storico: quanto ci è familiare, o estraneo, il mondo del passato? Quanto ci è comprensibile? Fino a che punto il processo dell’analisi storica rende necessariamente familiari materiali che potrebbero essere molto più estranei di quanto pensiamo? Gli interrogativi sul riso sollevano questioni particolarmente spinose: perché se è difficile accedere alla cultura del riso dei nostri vicini che si trovano appena oltreconfine, quanto dev’essere più difficile accedere a quella di persone distanti da noi centinaia di anni?

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