Violenza sulle donne e abusi sui minori sono un’emergenza mondiale più grave di ipertensione e diabete: il report

La violenza sessuale sui bambini e quella domestica contro le donne non sono soltanto drammi sociali. Secondo nuovi dati del Global Burden of Disease 2023, pubblicati su The Lancet, più di un miliardo di donne nel mondo, a partire dai 15 anni, ha vissuto abusi sessuali durante l'infanzia, mentre nel solo 2023 circa 608 milioni hanno subito violenza da parte del partner. Numeri allarmanti, che collocano queste due forme di abuso tra le principali cause di morte, disabilità e perdita di anni di vita sana a livello globale. Una prospettiva che ribalta l'idea di fenomeni confinati all’ambito giudiziario: "Queste forme di violenza sono un’emergenza sanitaria di primaria grandezza", ha affermato Luisa Sorio Flor, prima firma dello studio e ricercatrice dell'Institute for Health Metrics and Evaluation dell'Università di Washington.
Le cifre che non si vogliono vedere
Stando al quadro delineato dal report, oltre un miliardo di persone ha subito abusi sessuali durante l’infanzia, mentre 608 milioni di donne e ragazze hanno sperimentato violenza fisica o sessuale da parte del partner. Una somma che gli studiosi hanno tradotto in circa 50 milioni di anni di vita sana persa in una sola generazione. In questo caso, parlare di "epidemia silenziosa" non è affatto un artificio retorico, ma la conseguenza diretta di un fenomeno che su scala mondiale mostra un impatto superiore a quella di molti fattori di rischio per la salute internazionalmente noti, come ipertensione o diabete.
Danni che durano una vita
Il legame tra violenza e salute è dunque apparso più vasto e profondo di quanto si immaginasse. Gli abusi in età infantile sono stato associati allo sviluppo di 14 condizioni fortemente impattanti sulla salute psicofisica, dalla schizofrenia ai disturbi d'ansia, fino alla dipendenza da sostanze e al suicidio. La violenza domestica, invece, è stata collegata a otto conseguenze cliniche, soprattutto, depressione, ansia e autolesionismo. Il dato più drammatico riguarda però i decessi: 290.000 legati agli abusi sui minori e 145.000 dovuti alla violenza di partner soltanto 2023. Quasi 30.000 donne sono state uccise dal proprio compagno, un numero che equivale alla popolazione di una piccola città. "Prevenire non basta: servono protezione, presa in carico e supporto nel lungo periodo", ha sottolineato la dottoressa Flor.
Il peso delle disuguaglianze
Le situazioni più complesse riguardano principalmente le aree dell'Africa subsahariana e dell'Asia meridionale, dove le su citate conseguenze della violenza su donne e bambino si sommano a problemi endemici di quei territori, come l'HIV o sistemi sanitari del tutto insufficienti. In India, quasi una donna su quattro ha subito violenza dal partner e oltre il 30% ha vissuto abusi sessuali da bambina. Un intreccio di povertà, codici culturali e disparità di genere che rende la protezione delle vittime ancora più complessa. Per questo gli autori dell'indagine si appellano alle autorità nazionali e internazionali per iniziare ad affrontare seriamente un problema troppo spesso nascosto sotto al tappeto.
"Investire nella prevenzione di questi fattori di rischio evitabili ha il potenziale di scongiurare milioni di DALY e una considerevole mortalità prematura ogni anno" si legge nella presentazione della ricerca. Tale prevenzione deve però necessariamente passare da strategie strutturate che comprendano una legislazione efficace, un maggiore sostegno economico alle vittime, una migliore formazione dei professionisti sanitari e, ovviamente, un'educazione rinnovata e capillare per scardinare gli antiquati meccanismi culturali che ancora oggi relegano i soggetti fragili in una posizione di oggettiva inferiorità. Dal 2000 la prevalenza globale della violenza di genere è infatti rimasta quasi immutata. Chiaro segno che, nonostante campagne, leggi e mobilitazioni, le radici di questo fenomeno non sono state scalfite. Occorre dunque invertire la tendenza e spingere chi gestisce la salute pubblica ad assumere finalmente un ruolo centrale. Non più spettatrice della violenza ma protagonista della risposta.