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Vietare i social ai figli: per l’esperta i primi a mettersi in gioco devono essere i genitori

Dal 10 dicembre in Australia i minori di 16 anni non potranno più accedere ai social media. Un provvedimento che molti Paesi guardano con interesse, ma che, secondo la ricercatrice Catherine Page Jeffery, richiede cautela. Che si tratti di una legge o di una scelta familiare, ammonisce l’esperta, non bisogna sottovalutare l’impatto emotivo di simili restrizioni. I social rappresentano ormai una parte importante della vita e delle relazioni dei giovani: per questo, se si desidera introdurre regole più rigide, i genitori dovrebbero accompagnare i figli verso un uso consapevole del digitale, mantenendo un atteggiamento aperto, informato e disponibile al dialogo.
A cura di Niccolò De Rosa
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In Australia, a partire dal 10 dicembre, entrerà in vigore il divieto per i minori di 16 anni di accedere ai social media. Una decisione auspicata anche da genitori ed educatori di altri Paesi (Italia inclusa) e che, secondo il governo, mira a tutelare i più giovani dai rischi legati all'uso eccessivo delle piattaforme e a sostenere i genitori nella gestione del tempo trascorso online dai figli. Ma, come ha spiegato la ricercatrice Catherine Page Jeffery su The Conversation, un cambiamento così radicale non può essere considerato solo una questione di sicurezza digitale, poiché il provvedimento avrà inevitabilmente ripercussioni emotive, relazionali e familiari. E poiché l'esempio australiano potrebbe diventare un laboratorio per sperimentare l'efficacia di simili misure, la docente dell'Università di Sidney, ha invitato tutti i genitori a riflettere su come gestire i divieti che limitano la vita social dei figli.

I litigi in casa e le differenze di vedute

Negli la dottoressa Jeffery anni ha coordinato diverse ricerche che mostrano come l'uso dei social media sia già oggi una delle principali fonti di tensioni in famiglia. Come qualunque adolescente potrebbe confermare, gli adulti non perdono occasione per criticare i figli per la quantità di ore dedicate alle attività online, spesso accompagnando tali giudizi con consigli per occupare in modo "più utile" il loro tempo. A ciò si aggiunge poi la preoccupazione che passare troppo tempo su Internet esponga i ragazzi al pericolo di entrare in contatto con contenuti inappropriati per la loro età. Se però oltre alle ramanzine arrivano anche divieti o repentine restrizioni, i giovani finiscono facilmente per vivere questi atteggiamenti come un'ingiustizia o un vero e proprio segno di sfiducia, portando a litigi, ribellioni e costanti frizioni durante la quotidianità.

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Secondo l'esperta, il problema di fondo di queste dinamiche risiede soprattutto nel fatto che troppi genitori continuano a sottovalutare quanto le piattaforme digitali siano diventate centrali nella vita sociale dei ragazzi. Non si tratta solo di "scrollare" senza pensieri o mandare qualche video divertente agli amici. Per molti adolescenti e preadolescenti, i social sono il luogo dove costruiscono relazioni, condividono passioni e trovano un senso di appartenenza. È facile, quindi, che il divieto totale scateni rabbia, tristezza o frustrazione. Quando si toglie improvvisamente qualcosa che per loro rappresenta un punto di contatto con il mondo, "è normale che reagiscano con disagio", avverte la studiosa.

Capire, non punire

Secondo Jeffery, la chiave per gestire un eventuale cambiamento delle regole sull'uso dei social – che si tratti di un'imposizione calata dall'alto, come nel caso australiano, o di una decisione familiare per limitare l'eccesso dei figli – sta nell'affrontarlo con gli strumenti dell'empatia e del dialogo. Se un genitore decide di ridurre o vietare del tutto l'uso di smartphone e social almeno fino a una certa età è importante tenere conto prima di tutto della maturità e dei bisogni del singolo ragazzo. "Non esiste una risposta giusta per tutti – spiega  l'esperta – Ciò che conta è spiegare chiaramente le ragioni delle regole e riconoscere che questa transizione sarà difficile". Dopo aver manifestato la loro comprensione, madri e padri possono anche aiutare i figli cercare nuove alternative per mantenere le relazioni sociali, magari incoraggiandoli a incontrarsi di persona o a usare strumenti di comunicazione più sicuri.

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Oltre il divieto: educare alla cittadinanza digitale

Come altri educatori e pedagogisti che hanno espresso perplessità sull'utilità di vietare tout court social o smartphone ai giovani, Jeffery teme che una linea troppo dura sulla questione possa celare delle insidie. Tra queste, la ricercatrice ha indicato il rischio che i genitori si cullino in un falso senso di sicurezza, convinti che il divieto possa bastare per tenere i figli lontani da contenuti nocivi. In realtà, anche senza social, i ragazzi continueranno a frequentare altri spazi online, dove potrebbero comunque incontrare contenuti inappropriati o dinamiche rischiose.

Per questo, suggerisce Jeffery, il ruolo dei genitori non può limitarsi al ruolo di controllore o censore, ma serve un accompagnamento costante nello sviluppo di competenze digitali critiche. I più giovani devono imparare a valutare ciò che leggono e vedono, a riconoscere le manipolazioni e a gestire le relazioni virtuali in modo consapevole. Essere presenti, interessarsi alle attività online dei figli – soprattutto quando sono ancora piccoli – e offrire un punto di riferimento resta, per l'esperta, il modo più efficace per proteggerli davvero. Ciò significa ovviamente che anche mamme e papà devono mettersi in gioco per restare sul pezzo, aggiornandosi in continuazione e interessandosi attivamente a ciò che i figli combinano quando si trovano davanti a uno schermo. La ricompensa in termini di serenità e valori educativi è però una ricompensa che vale lo sforzo.

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