Uno studio ha scoperto cosa succede nel cervello dei bambini iper-sensibili a luci e rumori

Una porta che sbatte, la luce troppo intensa di un’aula, un maglione che pizzica. Per molti bambini sono dettagli di poco conto, per altri diventano un’ondata di stimoli difficile da contenere. La ricerca scientifica prova da tempo a definire e misurare queste differenze, soprattutto nei bambini che tendono a reagire con capricci o comportamenti dirompenti proprio perché più esposti all'intensità di simili sensazioni. Un nuovo studio dell'Università della California di San Francisco, pubblicato sul Journal of Neurodevelopmental Disorders, sembra ora aver raggiunto una risposta importante, fotografando – letteralmente – ciò che accade nel cervello dei piccoli più vulnerabili quando vengono investiti da percezioni che faticano a gestire.
Il disturbo dell'elaborazione sensoriale – ossia quella condizione che porta il cervello a trovare difficoltà nel ricevere, organizzare e rispondere alle tante informazioni provenienti dai sensi – non è ancora riconosciuto come diagnosi medica, ma i suoi effetti sono ormai noti e può portare chi ne soffre reazioni emotive sproporzionate e scoppi di rabbia apparentemente immotivati. Secondo alcune stime, tra il 5% e il 12% dei bambini statunitensi potrebbe mostrare forme più o meno intense di queste difficoltà, con ricadute dirette sulla vita scolastica e familiare. I neuroscienziati della UCSF hanno pertanto voluto capire se esistono "firme" cerebrali capaci di distinguere i bambini particolarmente sensibili da quelli che, al contrario, reagiscono con scarsa intensità agli stimoli.
Dentro il cervello di 83 bambini
Lo studio ha coinvolto 83 bambini neurodivergenti tra gli 8 e i 12 anni. Metà del gruppo era composto da piccoli che faticano a tollerare rumori improvvisi, luci forti o contatti corporei. L'altra metà, invece, non mostrava questa ipersensibilità. Con la risonanza magnetica funzionale – una tecnica che misura le variazioni di ossigenazione del sangue per capire quali aree sono più attive – i ricercatori hanno osservato ciò che accade nel loro cervello durante l'elaborazione degli stimoli.

Osservando le aree cererbali "illuminarsi" così emerso un pattern chiaro e, per certi versi, sorprendente. Nei bambini iper-reattivi, le reti cerebrali che gestiscono le funzioni "esterne", come il movimento e la percezione sensoriale, risultavano meno sollecitate. Al contrario, erano molto più attive le reti dedicate alle funzioni "interne", come il controllo degli impulsi e l'elaborazione cognitiva. Nei bambini meno sensibili accadeva esattamente l'opposto. Il neuroradiologo Pratik Mukherjee, co-autore della ricerca, ha spiegato che questi bambini sembrano usare un meccanismo di compensazione: "Quando vieni sovrastimolato, il cervello prova a difendersi aumentando l’attività delle reti interne per mantenere il controllo e riducendo quella delle reti esterne per limitare l'ingresso di nuovi stimoli". Al contrario, i bambini che non si lasciano travolgere – alcuni addirittura poco reattivi – mostrano una regolazione inversa. Per capire il fenomeno, si può pensare a un a sorta di mixer audio: nei bambini ipersensibili il volume dei canali sensoriali viene abbassato, mentre quello dei canali interni viene alzato per provare a gestire la tempesta.
Verso terapie più personalizzate
Se confermati da ulteriori studi, questi risultati potrebbero cambiare il modo in cui si interviene sui bambini ipersensibili. Oggi la terapia più comune si basa sull'esposizione graduale agli stimoli, in modo da renderli più tollerabili nel tempo. Ma conoscere il “profilo” cerebrale di ciascun bambino potrebbe rendere tutto più efficace. Mukherjee ha sottolineato che la mappatura delle reti cerebrali in futuro potrebbe aiutare clinici e terapisti a creare percorsi su misura. «"Capire come i pattern cerebrali si collegano alle emozioni e ai comportamenti dei bambini – afferma – potrebbe permetterci di personalizzare davvero i trattamenti". Il contenuti della ricerca determina comunque un passo avanti importante, una prova concreta che dietro alle reazioni emotive più intense non c’è un semplice “capriccio”, ma un cervello che lavora diversamente per cercare un equilibrio. In altre parole, per alcuni bambini il mondo non è troppo difficile: è semplicemente troppo intenso.