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Suicida a 14 anni a Latina, lo psicologo Lavenia: “Cambiare subito la legge contro il bullismo, il tempo è assassino”

Il suicidio del quattordicenne vittima di bullismo in provincia di Latina ha nuovamente messo in luce le falle di un sistema incapace di intercettare il disagio e tutelare i ragazzi più fragili. Giuseppe Lavenia, psicologo, ha parlato con Fanpage.it denunciando il silenzio di scuola e istituzioni e proponendo una misura urgente: “La Legge deve obbligare a un intervento psicologico immediato per bullo e vittima entro 48 ore dalla segnalazione. Come chiediamo il pronto intervento per la salute fisica, dobbiamo pretenderlo anche per la salute mentale”.
Intervista a Giuseppe Lavenia
Psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo
A cura di Niccolò De Rosa
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Bullismo
Immagine di repertorio

Aveva solo quattordici anni il ragazzo che in provincia di Latina si è tolto la vita alla vigilia del suo ritorno a scuola, dove avrebbe frequentato il secondo anno delle superiori. Una tragedia che porta con sé il peso insopportabile di mesi di insulti, umiliazioni e vessazioni, denunciate più volte genitori alle autorità scolastiche, senza che arrivasse mai una risposta capace di proteggerlo davvero. Il suo gesto estremo ha aperto una ferita che non riguarda soltanto una famiglia distrutta dal dolore, ma un intero sistema che non è riuscito né ad ascoltare e garantire una rete di salvataggio.

Di fronte a questa vicenda, Giuseppe Lavenia – psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo (Di.Te.) – ha scelto di esporsi con parole dure, denunciando il silenzio di chi avrebbe dovuto vigilare e ha lanciato un appello alla politica: varare una nuova legge che obblighi chi commette atti di bullismo a intraprendere immediatamente un percorso psicologico. "La politica deve avere il coraggio di colmare questa lacuna", ha affermato Lavenia, sottolineando la necessità di interrompere sul nascere subito la spirale di violenza che può travolgere sia chi subisce che chi agisce. Per approfondire queste riflessioni, Fanpage.it ha raggiunto il professor Lavenia e con lui ha analizzato le falle del sistema, il ruolo delle famiglie e delle scuole, le urgenze normative e i possibili (e urgenti) percorsi di prevenzione.

Professore, lei ha parlato di "vuoto che non possiamo più permetterci di ignorare". Qual è, secondo lei, il nodo più urgente che questa vicenda ci obbliga a guardare in faccia? In che modo la Legge può intervenire?

Il nodo più urgente è il tempo. Oggi il tempo è il vero assassino: tra la segnalazione e l'intervento possono passare settimane, a volte mesi. Un ragazzo che subisce bullismo non ha questo margine. La Legge deve obbligare a un intervento psicologico immediato e simmetrico: bullo e vittima, entrambi. Non dopo mesi, ma entro 48 ore dalla prima segnalazione. È una misura di civiltà, non un dettaglio tecnico. Così come chiediamo il pronto intervento per la salute fisica, dobbiamo pretenderlo anche per la salute mentale.

Lo psicologo Giuseppe Lavenia
Lo psicologo Giuseppe Lavenia

Lei ha sottolineato il silenzio assordante degli adulti. In che misura pensa che scuola e istituzioni siano mancati?

Qui va detta una cosa chiara: la famiglia di Paolo non ha mancato nulla. Ha denunciato, ha segnalato, ha provato a proteggere. La scuola e le istituzioni a mio avviso si sono trovate dentro a un sistema che non dà strumenti adeguati, che lascia molto alla discrezionalità, che si affida alla buona volontà dei singoli. E in questo silenzio si è spenta la voce di un ragazzo. Il problema non è la mancanza di adulti presenti, ma la mancanza di una rete capace di agire con forza e tempestività.

Alcuni potrebbero obiettare che l'obbligatorietà rischia di stigmatizzare. In che modo si può trasformare questo intervento in un aiuto e non in un marchio?

Non è uno stigma, è un diritto. Non parliamo di punizione ma di cura. L'obbligatorietà non deve essere letta come etichetta, ma come garanzia. Perché significa che nessuno può sfuggire alla presa in carico, né chi subisce né chi agisce. È un cambio di paradigma: non più "vediamo se la famiglia vuole", ma "ti accompagniamo, perché ne hai bisogno". Non è un marchio, è un ponte. E ogni ponte che offriamo a un ragazzo è un passo in più verso la possibilità di ricominciare.

Bullismo
Immagine di repertorio

Cosa spinge un bullo a reiterare violenze e umiliazioni? Quale tipo di percorso psicologico può aiutarlo a cambiare rotta?

Il bullo non nasce cattivo. Molto spesso agisce per difendere un vuoto, un dolore, una rabbia che non sa nominare. Colpisce l’altro per sentirsi vivo, potente, riconosciuto. Ma senza un lavoro psicologico, quel meccanismo si incista e diventa la sua unica modalità relazionale. Ecco perché è fondamentale un percorso clinico mirato, che lavori sul riconoscimento delle emozioni, sull’empatia, sul senso del limite. Non basta punire: serve decostruire il copione violento e riscrivere una storia diversa.

Educare (anche) i genitori è solo uno slogan o è una strada percorribile?

È l'unica strada. Non basta lavorare con i ragazzi se non costruiamo genitori più consapevoli. Educare i genitori non significa colpevolizzarli, ma renderli parte di un sistema di protezione. Dare loro strumenti per riconoscere i segnali, per sostenere i figli senza paura, per collaborare con la scuola e con i servizi. È percorribile, ma solo se la smettiamo di pensare alla genitorialità come a un fatto privato. Oggi è un tema sociale, culturale, collettivo.

Quali percorsi di prevenzione e sensibilizzazione dovrebbero diventare sistematici nelle scuole e nei territori?

Non bastano i progetti spot. Serve un sistema. Ogni scuola dovrebbe avere uno sportello psicologico stabile, un percorso annuale di educazione alle emozioni, un'alfabetizzazione digitale che insegni a vivere anche il mondo online senza cadere nelle trappole dell'odio e del branco. E serve un collegamento diretto con i territori: numeri verdi, centri di ascolto, laboratori esperienziali. Innovativo sarebbe istituire una sorta di "patentino emotivo", così come proponiamo il patentino digitale: un percorso obbligatorio che accompagni i ragazzi a riconoscere rabbia, vergogna, frustrazione, senza lasciarle esplodere sull’altro. Prevenzione non è riempire un calendario di giornate, ma costruire un ecosistema che non lasci soli né i ragazzi, né gli adulti che li accompagnano.

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