Sempre più bambini usano i chatbot come “migliori amici”: lo studio e perché può essere un grosso problema

Un tempo era TikTok il centro digitale della vita dei più giovani. Oggi, però, cresce l’interesse dei bambini e degli adolescenti per un nuovo tipo di "amico": l'intelligenza artificiale. Un recente report dell’organizzazione britannica Internet Matters, intitolato Me, Myself & AI, ha indagato l’uso dei chatbot tra i minori nel Regno Unito, rivelando che ben il 64 per cento degli intervistati li utilizza per le più diverse esigenze: dai compiti scolastici all’ansia adolescenziale, passando per i consigli sull'abbigliamento da utilizzare o su come affrontare una conversazione difficile con genitori, insegnanti o conoscenti.
AI tra compiti e confidenze
Secondo il sondaggio, condotto su 1.000 ragazzi tra i 9 e i 17 anni e 2.000 genitori, il 42 per cento degli adolescenti usa i chatbot per studiare, attratti dalla possibilità di ottenere risposte rapide, suggerimenti di scrittura o supporto linguistico. Fin qui, nulla di sorprendente. Ma un dato allarma gli esperti: quasi un quarto dei ragazzi interpellati afferma di rivolgersi a queste intelligenze artificiali per affrontare tematiche personali, come le amicizie o il disagio emotivo. E il 15 per cento preferisce parlare con l'IA piuttosto che con una persona in carne e ossa.
Tra i bambini vulnerabili – quelli con bisogni educativi speciali (BES) o con condizioni psicofisiche che richiedono assistenza – la percentuale sale ulteriormente: il 71 per cento di loro utilizza i chatbot, e uno su due sostiene che sia esattamente come parlare con un amico.

Un’intimità senza filtri né tutele
È proprio una simile immedesimazione a preoccupare gli esperti. Rachel Huggins, co-direttrice di Internet Matters, han sottolineato come i chatbot "stiano ridefinendo il concetto di amicizia per molti bambini", i quali si fidano ciecamente di questi interlocutori virtuali. Per Huggins però, più del dilemma etico sul concetto di amicizia con una macchina, il vero problema è che questi nuovi "amici" non sono progettati per rispondere a bisogni emotivi, né tantomeno per farlo in modo sicuro con dei soggetti tanto giovani.
A confermare le criticità è anche una ricerca della Stanford University, che ha esaminato l’uso dei chatbot all'interno di contesti terapeutici. Gli studiosi hanno infatti scoperto che i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) – ossia quei sistemi di IA addestrati su enormi quantità di dati, come lo stesso ChatGPT – se usati come sostituti dei terapeuti possono rafforzare stereotipi patologici, sottovalutare segnali di disagio profondo (come l'autolesionismo o i pensieri suicidari) e, in alcuni casi, perfino incoraggiare comportamenti dannosi. Ciò avviene perché, non avendo ancora strumenti critici sufficientemente maturi, i bambini tendono a interpretare letteralmente le risposte dei chatbot, i quali sono privi dei filtri emotivi necessari per parlare con il giusto "tatto" ai più piccoli.

Il vuoto normativo e il ruolo della scuola
L’indagine ha anche mostrato come molti genitori si stiano già accorgendo del problema, sentendosi però spesso impreparati ad adottare le giuste contromisure. Sebbene il 62 percento abbia dichiarato di essere preoccupato per l’accuratezza delle risposte fornite dai chatbot, solo il 34 percento di mamme e papa ha parlato con i figli della validità delle informazioni ottenute online. A scuola, la situazione non appare migliore: poco più della metà degli studenti ha discusso del tema con un insegnante, ma molti lamentano consigli discordanti e scarsa chiarezza.
In questo contesto, i bambini rischiano di restare soli nel loro rapporto con l’intelligenza artificiale. E questo, secondo gli esperti, è un pericolo concreto da disinnescare attraverso un dialogo aperto – e non punitivo o autoritario – con i propri figli sull’uso dell’AI. N non in modo punitivo, ma con responsabilità”, spiega Sharon. Anche le istituzioni, tuttavia, devono fare la loro parte. Derek Ray-Hill, direttore ad interim della Internet Watch Foundation, si è espresso a riguardo con molta franchezza: "I bambini hanno diritto a un internet sicuro, in cui possano imparare e socializzare senza essere esposti a rischi. È urgente che governi e aziende tecnologiche agiscano prima che sia troppo tardi".