Se i mariti aiutano nelle faccende di casa, è più probabile che le donne vogliano dei figli: lo studio coreano

La Corea del Sud è il Paese con il tasso di natalità più basso del mondo (appena 0,7 figli per donna, contro l'1,2 dell’Italia, secondo i dati dell'OCSE) e da anni i governi stanno cercando disperatamente di invertire la tendenza, arrivando a offrire incentivi economici sempre più corposi per supportare i primi anni di vita ogni nuovo nato. Finora, però, i risultati sono stati decisamente poco significativi e la crisi delle culle continua. Secondo un nuovo studio potrebbe però una possibile soluzione potrebbe provenire da un duplice intervento sul tessuto sociale coreano: pagare di più le donne e insegnare ai mariti a contribuire maggiormente nei lavori di casa. È questo il risultato emerso da una ricerca pubblicato sulla rivista del Korea Institute of Child Care and Education, la quale ha scoperto come le donne coreane appaiano più propense a volere un figlio quando guadagnano di più e quando il partner partecipa in modo attivo alle faccende domestiche.
Lo studio: dieci anni per capire le scelte delle famiglie
L'indagine si è basata su dati raccolti dal Korean Women's Development Institute tra il 2012 e il 2022, riguardanti 3.314 donne tra i 19 e i 64 anni impegnate in matrimoni a doppio reddito. L'obiettivo era comprendere quali fattori incidono sulla volontà di avere figli – o di averne altri, per chi già ne aveva – all'interno di coppie in cui entrambi i componenti hanno un posto di lavoro. I ricercatori hanno analizzato un ampio ventaglio di variabili, dall'età della partecipanti, il numero di figli, le condizioni economiche, il grado di uguaglianza di genere nella coppia e l’ambiente lavorativo. Più che stabilire cause dirette, lo studio ha cercato di individuare correlazioni tra questi elementi e la "disponibilità alla genitorialità", un indicatore chiave in un Paese dove il modello familiare tradizionale è in rapido declino.
Più reddito, più figli (ma fino a un certo punto)
Uno dei risultati più interessanti riguarda il peso del reddito femminile nel bilancio familiare. Tra le coppie in cui la moglie desiderava avere figli, la quota media del suo reddito sul totale familiare era del 44 per cento, contro il 38,1 per cento di quelle non intenzionate a farne. In altre parole, maggiore era l'autonomia economica della donna, maggiore era la sua disponibilità alla maternità.

Tuttavia, il fenomeno ha mostrato una curva precisa: la propensione cresce infatti fino a quando il contributo della donna raggiunge circa il 47-48 per cento del reddito familiare, per poi diminuire oltre quella soglia. Quando la donna diventa la principale fonte di reddito, la disponibilità ad avere figli cala sensibilmente. Gli autori ipotizzano che ciò sia legato al peso crescente della responsabilità economica e al timore di dover rinunciare alla carriera in un contesto in cui la maternità comporta spesso penalizzazioni lavorative.
La chiave è nella parità di genere in casa
Accanto all’aspetto economico, emerge un fattore altrettanto determinante: la condivisione dei compiti domestici.
Lo studio ha elaborato un "indice di uguaglianza di genere" che teneva conto sia del contributo della moglie al reddito familiare sia della partecipazione del marito alle faccende di casa. Ebbene, più il marito si occupava delle attività domestiche, maggiore è la propensione della moglie ad avere figli. Un risultato che, secondo i ricercatori, non mostra un punto di saturazione: "Non esiste un limite superiore", si legge nel rapporto. "Ogni incremento nel coinvolgimento maschile nelle faccende domestiche è associato a una maggiore disponibilità alla maternità". La parità di genere in casa sembra proprio essere un motore di natalità più efficace dei bonus governativi.
L'età e il numero di figli: il fattore biologico e psicologico
Come prevedibile, anche l'età resta una variabile cruciale. La disponibilità ad avere figli diminuisce costantemente fino ai 41 anni, età oltre la quale si stabilizza su livelli molto bassi. Anche il numero di figli già presenti influisce fortemente: le donne senza figli o con un solo bambino sono più propense a volerne, mentre la percentuale crolla tra chi ne ha due o più. "È una tendenza coerente con i modelli demografici di molti Paesi sviluppati", osservano gli autori, "dove il secondo figlio rappresenta il principale ostacolo, e il terzo una rarità".
Le politiche aziendali contano, ma non bastano
Un altro aspetto analizzato riguarda l'ambiente lavorativo e la presenza di politiche "family friendly". Tra le donne intenzionate ad avere figli, oltre il 73 per cento ha infatti dichiarato di essere impiegata in un'azienda dotata di sistemi di sostegno alla famiglia, contro appena il 35 per cento tra coloro non desideravano figli.
Eppure, la ricerca sottolinea che l'impatto diretto di queste misure è limitato. Il loro effetto sembra piuttosto “indiretto”, perché interagisce con altri fattori, come la divisione dei compiti domestici o la sicurezza economica. In pratica, le politiche aziendali funzionano solo quando si inseriscono in un contesto di reale equilibrio familiare e di parità di genere.

La cultura non è più il freno principale
Un altro dato sorprendente è il peso relativamente basso delle convinzioni culturali. Fattori come l’individualismo, le idee sui ruoli di genere o la visione tradizionale della famiglia si sono rivelati molto meno influenti del previsto. "Ciò suggerisce che le credenze personali non sono oggi l'elemento dominante nella scelta di avere figli", spiegano i ricercatori.
Una rivoluzione silenziosa, se si pensa che fino a pochi decenni fa la società coreana era rigidamente patriarcale e la maternità considerata un destino più che una scelta.
Un sistema in cerca di equilibrio
Lo studio non ignora i propri limiti: non sono state incluse le donne non sposate, sempre più numerose in Corea del Sud, né sono state considerate le interazioni tra le diverse variabili. Tuttavia, il quadro che emerge è nitido. Non è solo la difficoltà economica o la mancanza di politiche di sostegno a frenare la natalità, ma soprattutto l’assenza di un equilibrio sostenibile tra lavoro, vita domestica e carriera femminile. Quando le donne si sentono sostenute dai partner e riconosciute nel loro contributo economico, la maternità smette di essere una rinuncia e torna a essere una possibilità.