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Questi tre comportamenti indicano che tuo figlio potrebbe diventare psicopatico: l’avvertimento della ricercatrice

Secondo la ricerca della professoressa Essi Viding, alcuni segnali di possibili tratti psicopatici possono comparire già intorno ai tre anni d’età: mancanza di empatia, difficoltà a collegare azioni e conseguenze, indifferenza nel rendere felici gli altri. Tuttavia, come precisato dall’esperta, la presenza dei segnali non rappresenta una condanna certa. Genetica e ambiente giocano entrambi un ruolo, ma prevenzione, affetto e interventi precoci possono fare la differenza.
A cura di Niccolò De Rosa
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Non si diventa psicopatici da un giorno all’altro, né al compimento della maggiore età. Alcuni comportamenti che possono sfociare in tratti psicopatici, infatti, sono già osservabili nei bambini molto piccoli, persino a partire dai tre anni. È l'avvertimento lanciato da Essi Viding, professoressa di psicopatologia dello sviluppo allo University College di Londra, che da anni studia come genetica e ambiente contribuiscano alla formazione di disturbi della personalità. "Non si riceve un disturbo della personalità come regalo di compleanno a 18 anni – ha spiegato al quotidiano britannico TelegraphCi sono bambini che mostrano tratti caratteristici sin dalla tenera età".

Oltre i capricci: cosa distingue un comportamento a rischio

Stando alle pluriennali ricerche della dottoressa Viding – la quale in passato aveva già evidenziato come diversi tratti riconducibili ai più seri disturbi della personalità fossero influenzati sai dai geni familiari (Restorative Neurology and Neuroscience, 2014) che dall'ambiente in cui piccoli crescono (American Journal of Psychiatry, 2016) – esistono alcune anomalie comportamentali che, fin dalla primissima infanzia, possono accendere una spia d'allarme per lo sviluppo psicologico dei bambini.

Simili anomalie non devono però essere confuse con i capriccianche quelli più dirompenti – che rientrano assolutamente nella normalità della crescita. Ciò di cui si sono occupata Viding e i suoi collaboratori sono infatti veri e propri disturbi della condotta associati a tratti calloso-non emotivi (CU): in questi casi i bambini non provano rimorso quando feriscono qualcuno, non collegano le conseguenze alle proprie azioni e non traggono soddisfazione dal rendere felici gli altri.

Immagine di repertorio
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I tre segnali chiave

Secondo le ricerche di Viding, i tre indicatori principali possono segnalare un rischio precoce cono:

  • Mancanza di empatia: il bambino non mostra dispiacere di fronte al dolore altrui, come nel caso di chi ruba un gioco a un coetaneo senza essere minimamente turbato per le sue lacrime.
  • Scarso legame tra azione e conseguenza: punizioni o richiami non sortiscono alcun effetto, perché non viene interiorizzato il nesso causa-effetto.
  • Indifferenza alla gratificazione sociale: a differenza della maggior parte dei bambini, non provano piacere nel compiacere genitori o amici, ma si concentrano esclusivamente sui propri bisogni.

Questi segnali interessano circa l'1 per cento della popolazione infantile, una minoranza schiacciante ma non trascurabile, considerando le possibili ricadute in adolescenza e in età adulta. La stessa Viding ha anche tenuto a precisare che la presenza di simili caratteristiche nel comportamento di un bambino non significa automaticamente che il bambino svilupperà sicuramente una psicopatia, tuttavia sarà bene continuare a monitorare l'evoluzione delle cose.

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Tra genetica e ambiente

Gli studi condotti in passato dalla stessa Viding su gemelli identici e fraterni hanno evidenziato come i tratti CU siano influenzati in parte dalla genetica. I gemelli omozigoti, che condividono quasi interamente il patrimonio genetico, mostrano una maggiore probabilità di svilupparli entrambi rispetto ai gemelli eterozigoti. Anche a livello cerebrale emergono differenze: in particolare, l’attività dell’amigdala, area che regola le emozioni, appare alterata nei bambini con questi comportamenti. Tuttavia, la genetica non è un destino già scritto. "Nessuno nasce psicopatico –ha  precisato Viding – Alcuni hanno una predisposizione maggiore, ma l’ambiente in cui crescono fa una differenza fondamentale".

Il ruolo della famiglia e della prevenzione

Se da un lato i geni possono predisporre, dall’altro un contesto familiare caldo e affettuoso può ridurre in modo significativo il rischio. Studi condotti su bambini adottati hanno dimostrato che un ambiente positivo, anche in assenza di legami genetici, funge da protezione contro lo sviluppo di tratti antisociali. Le ricerche confermano inoltre che il rinforzo positivo – cioè premiare i comportamenti corretti anziché solo punire quelli negativi – aiuta i piccoli a costruire risposte emotive più sane.

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Interventi e sfide

Alla luce di simili premesse, la terapia psicologica appare come uno strumento sempre più efficace, poiché consente ai bambini di imparare a gestire emozioni e comportamenti, ma rappresenta anche un sostegno per i genitori, spesso disorientati davanti a reazioni così difficili da gestire. L’elemento decisivo, secondo gli esperti, è la tempestività dell’intervento. Prima si interviene, più facile è correggere la traiettoria. "Come qualunque comportamento, più diventa radicato e più è difficile modificarlo – ha avvertito Viding –Ma anche negli adolescenti e negli adulti le terapie possono funzionare".

Nonostante le conoscenze scientifiche e le soluzioni possibili, resta un problema di risorse. Ottenere finanziamenti e programmi di supporto per questi bambini è spesso complesso, come sottolinea la stessa ricercatrice. Eppure la diagnosi precoce e il sostegno alle famiglie non rappresentano solo una cura individuale, ma una forma di prevenzione sociale, capace di ridurre i rischi di comportamenti antisociali futuri.

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