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Piangere davanti ai figli non è un errore ma un’occasione educativa: la spiegazione della pedagogista

Mostrare emozioni intense davanti ai figli può mettere in difficoltà molti genitori, spingendoli a trattenersi per non turbarli o per apparire sempre forti. Secondo Anna Granata, professoressa di Pedagogia all’Università di Milano Bicocca, il pianto degli adulti non va però nascosto, perché educa i bambini a riconoscere i sentimenti, sviluppare empatia e comprendere che vulnerabilità e compassione sono parte della vita.
Intervista a Anna Granata
Professoressa associata di Pedagogia all’Università di Milano Bicocca
A cura di Niccolò De Rosa
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Agli occhi dei bambini, i genitori spesso appaiono come figure invincibili, capaci di affrontare qualsiasi difficoltà, sempre forti e sicuri. Eppure, anche i genitori provano fragilità, rabbia, tristezza: emozioni intense che non sempre è facile gestire. Di fronte a questi sentimenti, madri e padri possono sentirsi spinti a censurarsi, a trattenersi, a non farsi vedere mentre piangono. Il timore di turbare i figli o il desiderio di apparire un punto di riferimento stabile e inalterabile li porta a nascondere la propria vulnerabilità. Ma questa strategia protegge davvero i bambini? Oppure rischia di insegnare che certe emozioni devono essere negate, invece di essere comprese e condivise? È proprio su questo delicato equilibrio tra protezione e autenticità che Fanpage.it ha approfondito il tema con Anna Granata, professoressa associata di Pedagogia all’Università di Milano Bicocca.

Secondo l’esperta, quando si parla di emozioni, i genitori devono aiutare i figli a riconoscerle e a gestirle. Ma cosa accade quando a provare un’emozione intensa è il genitore stesso? "La domanda se sia giusto piangere davanti ai figli è, in realtà, più comune di quanto si pensi", sottolinea Granata.

Professoressa, i genitori possono piangere davanti ai bambini?

Assolutamente sì. I bambini apprendono molto attraverso il linguaggio non verbale, soprattutto nei primi anni di vita, e il pianto ne fa parte, al pari del sorriso o di un gesto affettuoso. Non va quindi censurato. Le lacrime rappresentano un linguaggio del cuore, come ricordava lo psichiatra Eugenio Borgna: privare i figli di questo contatto significa negar loro un canale importante di comunicazione e di comprensione emotiva.

Non c'è il rischio che il bambino si spaventi o si preoccupi?

I bambini percepiscono le emozioni dei genitori fin dai primi mesi di vita, anche senza vedere un’espressione diretta come il pianto o il sorriso. Cercare di nascondere i propri sentimenti è inutile e controproducente: i piccoli captano comunque ansia, tristezza o gioia, e la loro percezione è molto intensa. Ignorare questo aspetto non li protegge, anzi li priverebbe di un modello autentico di gestione emotiva.

Pianto e tristezza non dovrebbero essere manifestazioni emotive legate al genere
Pianto e tristezza non dovrebbero essere manifestazioni emotive legate al genere

Può essere utile spiegare ai bambini perché si sta piangendo?

Sì, sempre in base all’età e alle domande del bambino. Condividere il motivo del proprio pianto, anche in maniera semplice, aiuta i figli a comprendere le emozioni e a normalizzarle. Si tratta di un’educazione affettiva ed emotiva potente: i bambini imparano a liberare le proprie emozioni, a non provare vergogna per quello che sentono e a sviluppare compassione verso gli altri.

Quando si parla di emozioni siamo abituati ad avere percezioni e aspettative diverse rispetto a padri e madri: anche il pianto può essere una questione di genere?

Certamente. La società costruisce quelle che Irene Biemmi definisce "gabbie di genere", cioè aspettative sociali su quali emozioni siano accettabili per uomini e donne. Gli uomini sono spesso incoraggiati a esprimere rabbia, mentre la tristezza o la tenerezza tramite il pianto sono più accettate solo per le donne. Questo limita la comunicazione emotiva all'interno della famiglia e riduce il repertorio emozionale di bambini e bambine che vedono nel genitore dello stesso sesso un riferimento educativo fondamentale. Un padre che ha la libertà di piangere di fronte ai figli, contribuisce a decostruire l'idea di maschio adulto invulnerabile e prepara soprattutto i figli maschi a relazioni più autentiche e empatiche nella vita adulta. Benvengano dunque le lacrime dei padri!

Granata sottolinea infine come la dimensione culturale e mediatica contribuisca a rinforzare questi stereotipi di genere. "Nel contesto mediatico viene accettato un uomo che manifesta rabbia, mentre a una donna non si perdona nessun tipo di polemica, né di espressione di rabbia e insofferenza. Allo stesso modo, nel contesto famigliare o dei servizi educativi e scolastici, si perdona poco agli uomini l’espressione della propria vulnerabilità e fragilità". In un paese che ha urgente bisogno di educazione emotiva a contrasto della violenza di genere, conclude la professoressa possono dunque essere proprio i padri i primi a riscoprire la propria emotività, la tenerezza, la compassione, e a condividere coi figli queste emozioni. "Solo in questo modo potremo educare le nuove generazioni a conservare e valorizzare tutte le straordinarie sfumature emozionali di cui siamo dotati come esseri umani".

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