Perché mio figlio mi chiama per nome: le cause e come comportarsi

Diventare genitori è un passaggio che cambia tutto. D’improvviso, si smette di essere solo individui – uomini, donne, compagni, professionisti – e ci si trasforma madri e padri, un’identità nuova, che non accompagna ogni scelta, ogni pensiero, ogni gesto quotidiano. È una dimensione affettiva ed educativa che si radica profondamente e proprio per questo sorprende – e a volte disorienta – quando un figlio, invece di dire "mamma" o "papà", comincia a chiamare i genitori per nome. Un comportamento che può spiazzare, specie se arriva all’improvviso o si manifesta in tenera età. Ma cosa si cela dietro questo gesto? È solo una fase passeggera oppure un segnale a cui prestare attenzione?
Perché mio figlio mi chiama per nome
Capita soprattutto tra i due e i sei anni: il bambino comincia a usare il nome proprio del genitore, come se lo identificasse al pari di qualsiasi altro adulto. Le ragioni possono essere diverse. Spesso si tratta semplicemente di un’imitazione. I bambini ascoltano con attenzione e, se sentono altri chiamare i genitori per nome – magari tra adulti, al telefono o a scuola – tendono a riprodurre ciò che sentono. In questo senso, è un esercizio linguistico, un gioco di scoperta.
In altri casi, può essere un modo per attirare l’attenzione, soprattutto quando dire "mamma" o "papà" non sembra sortire effetto. Usare il nome può sembrare più efficace, più diretto. È anche possibile che il bambino voglia differenziarsi: dire "Enrica" invece di "mamma" può servire a esplorare nuovi equilibri nel rapporto.

Come comportarsi se mio figlio mi chiama per nome
Per quanto alcuni genitori potrebbero intristirsi o persino spaventarsi per questo comportamento, secondo gli esperti la prima reazione dovrebbe essere l’ascolto. Non è necessario correggere subito o, peggio ancora, mostrarsi contrariati. È utile invece chiedersi: in quale contesto avviene? Quando lo fa? Che emozioni esprime? Rispondere con empatia, magari dicendo: "Sì, mi chiamo Enrica, ma per te sono la mamma", può aiutare a ristabilire i ruoli senza alimentare tensioni.
Inoltre, evitare di enfatizzare troppo il comportamento – non dando molto peso alla cosa e, soprattuto, non mostrarsi offesi quando il bimbo usa il nome proprio – aiuta a non dargli un significato eccessivo. In molti casi, il bambino smette da solo. Se invece persiste, le strade sono due: si può rinforzare con dolcezza il legame affettivo che passa anche dal linguaggio – leggere insieme libri in cui i genitori vengono chiamati “mamma” e “papà”, o semplicemente ripetere queste parole nei momenti quotidiani – oppure semplicemente rassegnarsi alla cosa. Chiamare la madre o il padre per nome non significa che un figlio voglia loro meno bene.

Quando preoccuparsi
Nella maggior parte dei casi, chiamare i genitori per nome è una fase transitoria e del tutto innocua. Tuttavia, se il comportamento si accompagna ad altri segnali – distacco emotivo, rifiuto del contatto fisico, difficoltà nella relazione affettiva – può essere utile confrontarsi con un pediatra o uno psicologo dell’età evolutiva per valutare la situazione.
Anche nei ragazzi più grandi, usare il nome al posto di "mamma" o "papà" può esprimere una forma di distanza emotiva, anche se nella maggioranza dei casi si tratta di un comportamento ostentato per sottolineare un conflitto o un momento di tensione, tutt'altro che una rarità nel complicato periodo dell'adolescenza. In questi casi, più che correggere il comportamento – il rischio è sempre di ottenere l'effetto opposto a quello desiderato – risulta quindi importante coglierne il significato e agire di conseguenza: spesso è un modo per dire qualcosa che non riescono ad esprimere altrimenti.