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Perché lo scrittore Enrico Galiano fa scrivere un tema alla figlia ogni giorno: “È solo un gioco, non una tortura”

Dopo le polemiche scoppiate in seguito a un post nel quale raccontava di far scrivere alla figlia un tema quasi ogni giorno, lo scrittore e insegnante Enrico Galiano ha rivendicato su Fanpage.it la natura giocosa e affettuosa di un piccolo rituale che nasce dal piacere di condividere tempo e parole: “Ogni giorno ci sediamo e raccontiamo qualcosa. È un gioco, non una tortura. La mia speranza è che un domani, se la vita le farà male, possa tornare a scrivere per curarsi le ferite”.
A cura di Niccolò De Rosa
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Negli ultimi giorni il nome di Enrico Galiano, insegnante e scrittore molto seguito sui social, è rimbalzato al centro di una discussione decisamente accese. Tutto è nato da un post condiviso su Facebook nel quale il professore ha raccontato un piccolo rituale che ha scandito l'estate della figlia di otto anni: "Domenica 17 agosto, mattina, interno giorno – recitava l'intervento "incriminato" – Io che metto mia figlia a scrivere un tema di italiano (quest'estate gliene ho fatti scrivere quasi uno al giorno). Lei mi guarda, sconsolata:"Non potevi lavorare da Naturasì, invece che essere un insegnante di italiano?". Il testo si concludeva poi con una battuta finale: "Da grande avrà bisogno di uno psicologo, lo so: ma almeno durante le sedute parlerà un italiano perfetto!"

Alcuni utenti non hanno però preso bene le parole dello scrittore, leggendo in questa abitudine una forzatura, anzi, una e vera e propria una "tortura psicologica" nei confronti della bambina, privata dal padre del diritto a godersi un'estate spensierata e lontano dalle incombenze scolastiche. C'è anche chi ha suggerito il rischio che, sottoporre una ragazzina a un simile esercizio quotidiano, potrebbe alimentare in lei l'avversione per la scuola e per i suoi docenti. Per Galiano però, l'intento del post era di tutt'altra natura e raggiunto da Fanpage.it ha il vero significato di quell'abitudine padre-figlia, lontanissimo dall’idea di imposizione che in molti hanno voluto leggere.

Professore, com’è nato e come si svolge questo momento del “tema” che ha fatto tanto discutere?

In realtà è nato tutto in maniera molto naturale. Io ho usato la parola tema solo per brevità: sui social bisogna sintetizzare e non si possono scrivere muri di testo. Ma evidentemente quel termine è stato equivocato e ha evocato nelle persone ricordi spiacevoli e immagini di frustate medievali inflitte dagli insegnanti di italiano. In verità, ciò che io e mia figlia facciamo quasi ogni giorni, è sederci a raccontare qualcosa. Lei prende il suo quadernino, io mi metto al computer, e le chiedo se c'è un episodio o un'idea che vuole mettere nero su bianco. Non a caso, mia figlia non li chiama temi, ma" racconti": li introduce sempre con "Caro lettore, il mio racconto di oggi è…" e spesso li accompagna con disegni. L'ultimo, ad esempio, lo ha dedicato ai personaggi della seria Friends, che stiamo guardando insieme la sera. È un gioco, non una tortura.»

Molti hanno temuto che si trattasse di un'imposizione…

È stato frainteso. Certo, c'è la parte scherzosa in cui io faccio finta di essere il cattivo che la costringe a scrivere, e lei la vittima che protesta. Ma è una recita, un gioco delle parti. Lo dimostra il fatto che spesso prende l'iniziativa da sola e comincia a scrivere senza che io dica nulla. Se fosse davvero un’imposizione, reagirebbe in tutt'altro modo. La battuta che ho riportato nel post era il segnale stesso del gioco. È però triste dover sempre specificare tutto: molti hanno preferito guardare il dito e non la luna.

Qual è la sua motivazione educativa dietro a questo rituale?

Da scrittore e insegnante so quanto la scrittura sia fondamentale. Aiuta a ragionare, a dare un nome alle cose, a crescere. Per me è stata una forma di salvezza. E so quanto abbia aiutato tanti adolescenti a cui insegno. La mia speranza è che, coltivando questo ricordo bello dei pomeriggi insieme, un domani, se la vita le farà male, possa tornare a scrivere per curarsi le ferite. Non esistono genitori perfetti, sbagliamo tutti, ma se le resterà la memoria emotiva di questi momenti allora sarà stato utile.

Scrivere in estate può essere utile a tenersi in allenamento durante la lunga pausa lontano da scuola?

Anche. Le vacanze sono sacrosante, io per primo sono un fan della noia e del vuoto a Natale o Pasqua. Ma tre mesi di fila sono troppi. A settembre mi trovo studenti che devono ripartire dall'alfabeto. È un problema strutturale del nostro Paese: tanto tempo libero concentrato in estate, mentre durante l'anno scolastico i giorni sono distribuiti senza logica. Non dico che i bambini debbano studiare Gödel o leggere Spinoza, ma almeno un libro, un racconto, qualche pagina di diario o un po’ di inglese aiutano a tenere la mente in esercizio. Dopo due settimane di mare e relax totale, benissimo, ma per il resto è importante non lasciare che il cervello si "rattrappisca".

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