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Perché dire le parolacce davanti ai figli non è così grave (anche se andrebbe evitato): la parola alla pediatra

Per quanto sarebbe sempre meglio evitare di imprecare davanti ai figli, quando si parla di bambini e parolacce non esiste una regola valida per tutti. Se infatti i più piccoli si limitano a imitare ogni parola senza comprendere granché, crescendo il linguaggio diventa sempre più un biglietto da visita per rapportarsi con il mondo. L’esperta Deborah Gilboa ha dunque invitato i genitori a non mostrarsi eccessivamente rigidi, ma di insegnare ai figli quando è opportuno parlare in modo più controllato, trasformando un potenziale scivolone in un’occasione educativa.
A cura di Niccolò De Rosa
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Nel quotidiano familiare capita a tutti di lasciarsi scappare un’esclamazione colorita, ma dire parolacce davanti ai figli è davvero un problema? La risposta non è così semplice: il modo in cui i genitori gestiscono il linguaggio a casa non influisce solo sull’imitazione immediata dei più piccoli, ma insegna loro, con il tempo, regole sociali, autocontrollo e sensibilità verso il contesto. Ecco perché parlarne in modo consapevole può aiutare a evitare imbarazzi e fraintendimenti, trasformando un potenziale scivolone in un’occasione educativa.

Imitare i grandi e il "divertimento" delle parolacce

Secondo la pediatra ed esperta di educazione genitoriale Deborah Gilboa, recentemente intervenuta sul sito americano TODAY.com, nei primissimi anni di vita i bambini sono come registratori: ripetono qualsiasi parola sentano, soprattutto quelle che sembrano più "divertenti" o vietate. Per questo, Gilboa consiglia di fare attenzione a ciò che si dice in casa, scegliendo parole che non diano problemi "se ripetute davanti alla nonna o alla maestra dell’asilo". Insomma, con un bambino di due o tre anni, la questione non riguarda tanto il rischio che il piccolo possa comprendere e fare proprio un insulto o un'imprecazione, quanto la possibilità che esclamazione può essere restituita a sorpresa, senza filtri, in pubblico.

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Il giudizio sociale arriva con la crescita

Quando i bambini diventano più grandi, la questione relativa al linguaggio cambia radicalmente. Se sentire un bambino di tre anni imprecare può suscitare addirittura ilarità da parte dei presenti – o al massimo uno sguardo di rimprovero al genitore – nel caso di un bambino delle elementari o di un ragazzino delle medie, la valutazione sociale si sposta sul giovane parlante. "Le persone giudicano il bambino stesso — spiega Gilboa — pensando che non sia altrettanto educato o rispettoso di chi non dice parolacce". In altre parole, il linguaggio diventa uno strumento di immagine e di relazione con il mondo esterno, e un'imprecazione può segnare negativamente la percezione che altri hanno di lui o lei.

Educare all’uso del linguaggio: non proibire ma insegnare il contesto

Ma vietare in modo assoluto le parolacce è davvero la strategia migliore? Gilboa invita a ragionare più in profondità. Durante gli incontri con i genitori, chiede spesso quanti di loro abbiano mai detto una parolaccia, e poi quanti lo abbiano fatto in un colloquio di lavoro. Le risposte, naturalmente, divergono molto. "Questa è la competenza che voglio insegnare ai miei figli: non come non dire mai una parolaccia, ma come non dirla mai nel momento sbagliato", racconta la dottoressa, madre di quattro figli.

A partire dai sette anni, quando i bambini cominciano a sviluppare un po’ di autocontrollo, si può cominciare a ragionare insieme su quando certe parole siano accettabili o meno. Gilboa, ad esempio, spiega ai suoi figli di scuola elementare che "non possono mai dire parolacce davanti a un adulto o a un bambino più piccolo, per evitare che vengano fraintesi o giudicati male".

bimbi e parolacce

Le differenze in famiglia: un'occasione di crescita

Il discorso diventa ancora più interessante quando, all’interno della stessa famiglia, mamma e papà hanno idee opposte su cosa sia un linguaggio "accettabile". Gilboa ha raccontato anche il caso di un'altra madre cresciuta nel Bronx, dove il turpiloquio era quasi un'arte. Suo marito, originario di Staten Island, invece, era assolutamente contrario all'uso di un linguaggio tanto colorito. Quando lei lasciava scappare qualche parolaccia, il marito interveniva subito davanti alla figlia dicendo: "Non è questo il modo in cui parliamo". Invece di creare confusione, questo contrasto ha insegnato alla bambina un principio importante, ossia che il contesto e il contenuto contano. Imparare che esistono opinioni diverse, regole variabili e momenti giusti o sbagliati per certe parole aiuta infatti i bambini a sviluppare sensibilità sociale e capacità di adattamento.

Le parolacce come segnale di intelligenza?

Se poi un genitore si ritrova a ricevere una telefonata dall’insegnante perché il proprio figlio ha esclamato un’imprecazione nel cortile della scuola, niente panico: la scienza suggerisce che ci sia un lato positivo. Alcuni studi hanno infatti riscontrato una correlazione tra l’uso del turpiloquio e qualità come l'onestà, la creatività e persino l’intelligenza. Naturalmente, questo non significa che si debba incoraggiare un linguaggio scurrile in ogni contesto, ma può aiutare a ridimensionare l’ansia e affrontare l’episodio come un’occasione di dialogo.

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