Per convincere i bambini a mangiare le verdure non servono i premi, ma esempi e strategie furbe

Quando i figli continuano a opporre un ostinato e irremovibile rifiuto di fronte a un piatto di verdure, prima di perdere definitivamente la pazienza molti genitori vengono tentati dalla possibilità di "corrompere" i piccoli promettendo loro dolcetti o piccole ricompense come una mezz'ora extra di TV per indurli ad assaggiare almeno un pezzetto di quel broccolo così poco invitante. Una tattica che sembra innocua e, almeno nell’immediato, spesso funziona. Scondo Nick Fuller, direttore delle sperimentazioni cliniche del Dipartimento di endocrinologia dell’Ospedale RPA dell’Università di Sydney, questa strategia rischia però di produrre l'effetto opposto.
In un recente articolo pubblicato sul sito The Conversation, Fuller spiega come l'uso del cibo come strumento di ricatto o ricompensa possa minare la capacità dei bambini di autoregolarsi, alimentare comportamenti selettivi e creare un rapporto distorto con il cibo. "Molti genitori lo fanno in buona fede", osserva Fuller, tuttavia offrire dolci o piccoli premi come ricompensa per aver mangiato le verdure può trasformare un gesto che vorrebbe essere educativo "in un meccanismo di condizionamento che, a lungo termine, danneggia la relazione del bambino con l'alimentazione".
Il cibo non deve diventare una ricompensa
La strategia di usare i dolci come incentivo nasce con le migliori intenzioni: incoraggiare i più piccoli, soprattutto i più difficili, a mangiare in modo sano. Tuttavia, gli studi mostrano che associare alimenti "discrezionali" – come snack o dessert – a un premio non rafforza la preferenza per i cibi salutari, ma la sposta verso quelli più golosi e calorici. Con il tempo, il bambino inizia a percepire il dolcetto come un premio e la verdura come una punizione. In altre parole, il dessert diventa il traguardo, mentre il piatto principale una tappa sgradevole da superare. Questa dinamica, spiega Fuller, "altera la percezione del valore del cibo e rischia di gettare le basi per un rapporto emotivo e sbilanciato con l'alimentazione". Il problema non è però solo simbolico: collegare il cibo al comportamento o al successo ("se ti comporti bene, puoi avere il gelato") introduce l'idea che mangiare possa essere una forma di compensazione o ricompensa, un meccanismo che, in età adulta, può tradursi in abitudini di "emotional eating" – un comportamento che porta a mangiare per gratificarsi o gestire le emozioni – e rischia di interferire con la naturale autoregolazione dei piccoli.

Fin dalla nascita, infatti, i bambini sanno benissimo hanno fame e quando sono sazi. Questo meccanismo, spiega Fuller, è parte del normale sviluppo e può variare da un giorno all'altro in base alla crescita o all'attività fisica. Tuttavia, il ricorso sistematico ai premi alimentari rischia di compromettere tale autoregolazione. Se un bambino impara che mangiare una certa quantità di verdure "serve" a ottenere qualcosa di più buono, smette di ascoltare le proprie sensazioni di della fame e comincia a mangiare per motivi esterni, come appunto la promessa di una ricompensa. Una dinamica che può aumentare il rischio di eccessi alimentari e portare, in età adulta, a un rapporto disfunzionale con il cibo e con la sensazione di sazietà.
Il paradosso del "bambino schizzinoso"
La fase di selettività alimentare – quel periodo in cui il bambino appare particolarmente "schizzinoso" e sembra accettare solo pochi cibi – è una tappa normale dello sviluppo, soprattutto nei primi anni di vita. È comune che i più piccoli rifiutino certi sapori o consistenze, ma con il tempo, la crescita e le esposizioni ripetute anche ai piatti meno graditi aiutano ad "allenare" il palato e ad ampliare progressivamente i gusti. Il problema nasce quando i genitori reagiscono con rimproveri, ricatti o i già citati premi, trasformando il momento del pasto in un'occasione di tensione e stress. Diversi studi (come una ricerca olandese del 2020 citata da Fuller) hanno infatti dimostrato che più si insiste o si premia, più aumenta la resistenza del bambino a provare nuovi alimenti.

Piuttosto che ricorrere a obblighi o ricatti, Fuller ha dunque propone una serie di strategie basate sull’evidenza scientifica, che possono aiutare a costruire abitudini sane e durature.
- Valorizzare l'impegno, non il risultato: secondo gli studi, possono essere necessarie otto-dieci esposizioni a un nuovo cibo prima che un bambino inizi ad accettarlo. La chiave è la pazienza: continuare a proporre senza forzare. Meglio lodare il bambino per aver provato qualcosa di nuovo, anziché per aver finito tutto il piatto. In questo modo il cibo diventa un'esperienza, non una prestazione.
- Unire il nuovo al familiare: i bambini sono più propensi ad accettare sapori sconosciuti se li trovano accanto a qualcosa che già amano. Se, ad esempio, un bambino adora le patatine, si può proporre una variante come le carote o i broccoli forno, mantenendo un aspetto o una consistenza familiare. Anche offrire lo stesso alimento in forme diverse – per esempio aggiungendo i fagiolini nel pesto un giorno e in insalata il giorno dopo – favorisce la curiosità e la disponibilità all'assaggio.
- Rendere il cibo visivamente attraente: anche l'occhio vuole la sua parte. Presentare il cibo in modo divertente, colorato e creativo può fare la differenza. Spiedini di frutta, piatti “arcobaleno” di verdure o pasti componibili sono strumenti semplici ma efficaci. "I bambini rispondono molto meglio quando il pasto stimola i sensi e la curiosità", spiega Fuller.
- Coinvolgere i bambini in cucina: uno dei modi più efficaci per far apprezzare il cibo sano è coinvolgere i piccoli nella sua preparazione. Già dai tre o quattro anni possono partecipare a semplici attività: mescolare, misurare, scegliere le ricette. Questa partecipazione non solo rafforza il legame con il cibo, ma genera un senso di orgoglio e appartenenza. I bambini sono più inclini a mangiare ciò che hanno contribuito a creare.
- Dare l'esempio ogni giorno: secondo Fuller, i genitori dovrebbero sempre ricordarsi che i bambini imparano osservando. Le ricerche mostrano che quando i genitori mangiano e apprezzano regolarmente cibi sani davanti ai figli, questi ultimi tendono a imitarli. "Non basta dire che la verdura fa bene – ricorda Fuller – bisogna mostrarlo, condividendo i pasti e dimostrando piacere nel mangiare sano". Il momento della cena o del pranzo, dove la famiglia si riunisce non solo per mangiare, ma anche per per parlare e scambiarsi esperienze in serenità, può dunque diventare l'occasione perfetta per trasmettere valori alimentari positivi.