Non è un Paese per mamme: un nuovo report dimostra perché nel 2025 essere madri in Italia è ancora uno svantaggio

In Italia, diventare madre è sempre più un atto di coraggio. A ribadirlo è l’ultimo rapporto "Le Equilibriste, la maternità in Italia" di Save the Children, giunto alla sua decima edizione e pubblicato in vista della Festa della Mamma dell'11 maggio. Il documento restituisce un quadro complesso e frammentato della condizione materna nel nostro Paese, dove i carichi di cura continuano a pesare quasi esclusivamente sulle spalle delle donne e dove le madri, soprattutto se sole o residenti in aree prive di adeguati servizi di supporto all'infanzia, affrontano quotidianamente importante difficoltà economiche e sociali crescenti. E fare da sfondo a tutto ciò, c’è un crollo delle nascite sempre più drammatico ma che vede proprio nelle carenze di tutele per la genitorialità – e la maternità in particolare – una delle sue cause più profonde.
Un Paese che non fa figli
Nel 2024, l’Italia ha registrato un nuovo minimo storico delle nascite: appena 370.000, con un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente. L’età media delle madri al parto è salita a 32,6 anni, mentre il tasso di fecondità ha toccato quota 1,18 figli per donna, inferiore perfino al già preoccupante 1,19 del 1995. Il calo è particolarmente accentuato nel Sud e nelle Isole, dove le nascite sono diminuite rispettivamente del 4,2% e del 4,9%.
A pesare su queste scelte però non sono solo motivazioni personali, ma un contesto sociale e lavorativo che spesso scoraggia la genitorialità, specie quellq femminile. "Le donne sono ancora troppo sole nel gestire la maternità e i carichi familiari", ha osservato Giorgia D’Errico, Direttrice Affari pubblici di Save the Children.
Lo svantaggio della maternità
Il rapporto ha fotografato una realtà in cui diventare madre comporta un prezzo molto alto in termini occupazionali. Mentre oltre il 91% dei padri è impiegato in un'occupazione, solo il 62,3% delle madri, infatti, lavora e percepisce uno stipendio. La cosiddetta child penalty citata dal report – ovvero la penalizzazione subita dalle donne nel mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio – colpisce una madre su cinque e interessa tutte quelle donne che sono costrette a lasciare la propria occupazione a causa della difficoltà di conciliare vita privata e professionale, spesso per mancanza di servizi per l’infanzia (leggasi asili insufficienti o inaccessibili) o di supporto all’interno della famiglia.
Anche qui però l'Italia si conferma un Paese spaccato. Se infatti nel Centro-Nord la situazione appare in linea con la media UE, nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione femminile crolla al 49,4% tra le donne senza figli, e scende ancora al 44,3% tra quelle con figli piccoli. Le dimissioni volontarie delle madri con figli da 0 a 3 anni rappresentano poi il 72,8% del totale dei genitori dimissionari, e nel 96,8% dei casi sono dovute all’impossibilità di gestire lavoro e famiglia.

Servizi per l’infanzia: un investimento strategico
Il Think Tank Tortuga – gruppo di ricercatori e studiosi volontari impegnati in indagini socio-economiche – ha calcolato su incarico di Save the Children quanto potrebbero incidere positivamente gli investimenti nei servizi per l’infanzia. Riducendo del 30% i costi degli asili nido a carico delle famiglie, la child penalty passerebbe dal 33% attuale al 27,6%. Se la riduzione arrivasse al 90%, la penalizzazione scenderebbe fino al 16,8%, segno evidente che servizi accessibili ed efficienti sono strumenti fondamentali per garantire pari opportunità nel lavoro. Come sottolinea Save the Children, appiano dunque sempre più necessarie "politiche strutturali, integrate e durature" per sostenere le famiglie, tra cui l’ampliamento dell’offerta educativa per la prima infanzia e l’estensione dei congedi di paternità.
Madri sole: tra fragilità e resilienza
Tra le più colpite dalla crisi sociale ed economica ci sono le madri single, definite nel rapporto "equilibriste tra le equilibriste". In Italia i nuclei monogenitoriali sono aumentati del 44% in dieci anni, passando da 2,6 a 3,8 milioni. Di questi, il 77,6% è composto da madri sole con figli, spesso in condizioni di grande vulnerabilità. Il reddito medio annuo netto delle madri single con figli minori è di 26.822 euro, ben lontano dai 35.383 euro dei padri nella stessa situazione. In più, quasi una mamma single su tre vive in affitto e solo poco più della metà possiede un’abitazione.

Per quanto riguarda i dati relativi al lavoro, invece, il report mostra un lieve miglioramento nel tasso di occupazione delle mamme single, passato dal 66,6 percento del 2023 al 68,5 percento del 2024. Ma mentre nel Nord Italia il tasso di occupazione delle mamme sole supera l’83%, al Sud non arriva al 45%. Anche l’età incide: il tasso di occupazione si abbassa significativamente tra le più giovani. "Le madri sole restano tra le categorie più esposte al rischio di povertà", avverte Antonella Inverno, responsabile ricerca di Save the Children. "Servono misure di sostegno mirate per evitare che queste famiglie sprofondino in una condizione dalla quale è difficile riemergere".
Qualità della vita per le madri: Nord e Sud sempre più distanti
Come ogni anno, lo studio include l’Indice delle Madri, elaborato con l’ISTAT per misurare la qualità della vita delle madri su base regionale e se in termini assoluti si registra un miglioramento del valore medio nazionale dell’indice, il divario tra Nord e Sud resta profondo, con le regioni meridionali ben al di sotto della soglia di riferimento.
In testa alla classifica si conferma la Provincia Autonoma di Bolzano, seguita da Emilia-Romagna, Toscana e – new entry – Umbria. In fondo alla graduatoria rimangono Basilicata, Campania, Puglia e Calabria, fortemente penalizzate da carenze strutturali nei servizi e nel mercato del lavoro.