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Né egoisti, né solitari: psicologa smonta i falsi miti sui figli unici

La ricercatrice Amy Brown, docente della Swansea University, ha smontato gli stereotipi su egoismo e solitudine, rivelando i vantaggi di crescere senza fratelli in una società che sta cambiando profondamente.
A cura di Niccolò De Rosa
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I figli unici vengono spesso descritti come bambini soli, spesso viziati e comunque meno capaci di condividere i propri spazi o fare amicizia. Un immaginario collettivo che li vede chiusi nella loro cameretta, circondati da giochi che non devono contendere a nessuno, con il rischio, secondo stereotipi duri a morire, di crescere egoisti o fragili. Eppure questa visione non solo non restituisce la complessità delle storie familiari, ma risulta sempre più inadatta a leggere il presente. In Italia, così come in molti Paesi occidentali, l'inverno demografico è ormai arrivato e diventare genitori di un solo figlio è una realtà sempre più diffusa, spesso ben lontana dall’essere una semplice scelta.

È in questo scenario che la ricercatrice Amy Brown, docente dell’Università di Swansea, ha deciso di fare un po' di chiarezza, spulciando studi e ricerche sull'argomento per sfidare i pregiudizi che circondano i figli unici e riportare l'attenzione su ciò che conta davvero quando si decide di diventare genitori.

Una scelta, ma non per tutti

Per il suo lavoro, poi culminato con la pubblicazione di un libro sull'argomento, la dottoressa Brown ha raccolto oltre 3.000 testimonianze di genitori di figli unici, cercando di comprendere prima di tutto il motivo alla base della decisione di non avere altri bambini. Per alcuni si tratta di una scelta consapevole: con un solo figlio o una sola figlia di solito è più semplice trovare quell'equilibrio familiare che porta serenità e garantisce ai piccoli tutte le attenzioni necessarie.

In alcuni casi vi sono però anche motivazioni di tipo etico. Come dimostrato da uno studio comparso su Lancet nel 2021, molti giovani della nuova generazione scelgono di avere solo un figlio (o non averne affatto) per ridurre il proprio impatto ambientale in un mondo dal clima impazzito e dove le risorse saranno sempre più scarse.

Altri, al contrario, avrebbero voluto una famiglia più numerosa, ma sono stati costretti a ridimensionare i loro desideri a causa di limiti "fisici" (infertilità, aborti, età avanzata dei genitori, parti traumatici) o, più spesso, da difficoltà imposte dal contesto socio-economico, come la precarietà lavorativa, il costo della vita o l'assenza di servizi che portano le neo-mamme e i neo-papà a non sentirsi in grado – fisicamente e psicologicamente – di crescere più di un figlio. Una decisione che, sottolinea Brown, spesso porta i genitori a doversi giustificare, come se la scelta non fosse mai abbastanza legittima. Una pressione che si aggiunge al peso degli stereotipi sui bambini stessi.

La verità su chi cresce senza fratelli

Secondo Brown, la maggior parte dei luoghi comuni sui figli unici non sono fondati. Le ricerche mostrano che i bambini senza fratelli non hanno competenze sociali più deboli, né risultano più narcisisti o infelici. Al contrario, in media ottengono punteggi leggermente più alti in autostima, stabilità emotiva e soddisfazione personale. Uno studio del 2024 condotto in Cina (ne abbiamo parlato qui) ha perfino dimostrato come i bambini senza fratelli e sorelle tendano addirittura ad essere più altruisti di quelli cresciuti in famiglie numerose.

Emergono vantaggi anche in termini di creatività, leadership e curiosità, forse perché il tempo dedicato alle attività individuali viene vissuto come una risorsa, non una mancanza. "La vita può sembrare diversa, ma questo non significa che sia peggiore", scrive Brown.

La ricercatrice ha anche sottolineato che l'assenza di fratelli lascia spazio ad altri legami. I figli unici hanno più tempo per stare con gli adulti di riferimento, più opportunità extracurriculari, di solito una migliore disponibilità economica per attività e cure personalizzate. Bisogna poi ricordare come ogni bambino sia il risultato di un intreccio di genetica, ambiente ed esperienze. Avere o meno fratelli è dunque solo una piccola parte del microcosmo che forma il carattere di un individuo e non l'intero spartito in base al quale leggere la sua personalità.

Oltre l'immaginario collettivo

Un ultimo aspetto considerato da Brown ha poi riguardato il fatto che tra i "contro" del crescere i figli unici, spesso viene citata una ragione che potremmo definire utilitaristica: se infatti fratelli e sorelle possono contare sull'aiuto reciproco, chi aiuterà i figli unici quando i genitori saranno anziani e avranno bisogno di aiuto? Anche qui però, sottolinea la professoressa, la realtà è ben più complessa di quanto appaia e i fratelli non sono garanzia di sostegno. Uno studio dell'Università di Cambridge menzionato da Brown ha per esempio evidenziato che gli adulti, invece di condividere in modo equo i compiti di cura, tendono comunque a delegarli a un solo familiare.

Anche tra fratelli possono poi sorgere legami conflittuali o addirittura tossici. A tal proposito Brown ha ricordato che bambini vittime di bullismo intrafamiliare mostrano maggior rischio di depressione e autolesionismo. "Quando desideriamo un secondo figlio, in realtà desideriamo un buon rapporto tra fratelli. E questo non può essere dato per scontato". Ecco dunque perché secondo la ricercatrice è necessario fare opera di divulgazione. Liberarsi dagli stereotipi permette di costruire una società più accogliente e meno giudicante verso tutte le famiglie, qualunque sia la loro forma. Le famiglie contemporanee sono molteplici (monoparentali, ricomposte, arcobaleno, con un solo figlio o con molti figli), ma la questione cruciale rimane sempre la necessità di  garantire a ogni bambino di crescere amato, sicuro e con relazioni significative. "Concentriamoci su come far sentire i bambini connessi e protetti – afferma – non su quanti fratelli hanno".

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