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“Mia figlia non ha amici ed è giusto che io non faccia niente a riguardo”: la lezione di una mamma

La donna ha raccontato sui social di aver scelto di non intervenire dopo che la figlia di prima elementare le aveva confessato di non avere amici. Una decisione sofferta ma consapevole: lasciare che la bambina affronti da sola le difficoltà significa aiutarla a sviluppare resilienza e capacità relazionali utili per tutta la vita.
A cura di Niccolò De Rosa
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Credits: TikTok/@helennichole3
Credits: TikTok/@helennichole3

Sentirsi dire dal proprio figlio che non ha amici è uno dei momenti più dolorosi per un genitore. Lo sa bene Helen Turner, assistente sociale e mamma di una bambina di prima elementare, che ogni giorno tornava a casa raccontando di non avere compagni con cui giocare. Una confessione che le ha spezzato il cuore, ma che non l’ha spinta a correre a parlare con maestre o compagni. Ha scelto invece un’altra strada: non intervenire, lasciando che fosse la figlia a trovare una soluzione.

L’importanza di "lasciare accadere le cose"

"Da genitore è straziante, ma come professionista so che è la scelta giusta", ha spiegato Turner in un video condiviso su TikTok per spiegare il suo punto vista. Secondo lei, quando i genitori si sostituiscono ai figli per risolvere i problemi, offrono soltanto una soluzione a breve termine. Nel lungo periodo, invece, i bambini rischiano di non sviluppare gli strumenti per affrontare da soli le difficoltà. Per questo la madre ha invitato i genitori a lasciare che le cose seguano il proprio corso, così da permettere ai figli di costruire quella che definisce "tolleranza alla frustrazione", cioè la capacità di reggere emozioni spiacevoli come la solitudine o il rifiuto.

Per spiegare meglio il concetto, Turner ha anche proposto un paragone con la vita adulta: "Se entro nella sala pausa del lavoro e nessuno si siede con me, provo disagio. Ma è proprio lì che imparo come gestire la situazione". Allo stesso modo, i bambini hanno bisogno di sperimentare piccoli momenti di esclusione per capire come reagire: sedersi da soli, cercare nuovi compagni, proporre un gioco. E secondo l’assistente sociale, se questa competenza non viene allenata da piccoli, affrontarla a trent’anni diventa molto più difficile.

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Contattata dal sito americano Today.com, Turner ha poi ribadito come questa scelta di non-intervento non significhi affatto ignorare i figli. Al contrario, i genitori possono accompagnarli facendo domande indirette ("Com’è andato il pranzo oggi?", "Di cosa avete parlato in classe?") invece di concentrarsi sul fatto che abbiano o meno amici. Così si apre uno spazio di dialogo senza alimentare ansie.

Dopo qualche settimana, la scelta di Turner sembra infatti  aver dato i suoi frutti. Dopo qualche tempo di "attesa attiva" la bambina ha iniziato a invitare i compagni a giocare, costruendo così le prime amicizie in autonomia. "Ieri, quando sono andata a prenderla, è stata fermata più volte da coetanei che le hanno dato un abbraccio e salutato con entusiasmo", ha raccontato la mamma. Una dimostrazione che, lasciando ai bambini lo spazio per provare e sbagliare, le vittorie diventano davvero loro.

La prospettiva di insegnanti e genitori

Sotto al post di Turner, molti adulti hanno confermato che la percezione dei bambini può essere distorta. Un'insegnante ha raccontato che spesso i più piccoli dicono di non avere amici, mentre in realtà giocano quotidianamente con diversi compagni: semplicemente, a quell’età, non hanno ancora chiaro cosa significhi davvero “amicizia”. Altri genitori hanno spiegato di aver scoperto che i loro figli, convinti di essere esclusi, erano in realtà quelli a rifiutare gli altri o a interpretare in modo rigido il concetto di "migliore amico".

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