Le 6 frasi insospettabili che reprimono i sentimenti dei figli, ma che i genitori continuano a dire

Nel mondo dei social, dove spesso si parla di educazione con leggerezza, a volte emergono voci capaci di scuotere davvero le coscienze. Una di queste è quella di Kelsey Mora, terapista dell'infanzia e dell’adolescenza, che in un post diventato virale, l'esperta ha ricordato quanto i bambini e i ragazzi desiderino, più di ogni altra cosa, essere "visti e ascoltati". Eppure, anche i genitori più amorevoli e attenti, spesso senza accorgersene, finiscono per invalidare i sentimenti dei figli attraverso le parole che scelgono. Piccole frasi, dette con le migliori intenzioni, che però possono lasciare segni profondi nella crescita emotiva dei bambini.
Nel suo post pubblicato su Instagram, Mora ha spiegato come tale invalidazione non nasca dalla mancanza di affetto, ma da un riflesso istintivo: quello di voler consolare, minimizzare il dolore e riportare subito serenità. Tuttavia, ripetuta nel tempo, questa abitudine può influenzare il modo in cui un bambino impara a percepire sé stesso e le proprie emozioni. "Quando un bambino si sente compreso impara a comprendere sé stesso", ha spiegato l'esperta. Al contrario, se le sue emozioni vengono costantemente sminuite o corrette, anche se in buona fede, è molto probabile che interiorizzerà l'abitudine a mettere in dubbio le proprie sensazioni, portandolo a credere che emozioni perturbanti come rabbia, paura o tristezza siano sbagliate e vadano represse.

Riconoscere le emozioni dei figli non significa pertanto solo costruire un ponte empatico con i bambini, ma educarli all'intelligenza emotiva, uno degli strumenti più preziosi per la vita adulta. Per aiutare i genitori a prendere coscienza di questo importante aspetto, Mora ha così elencato alcune frasi ricorrenti nei dialoghi in famiglia che però possono nascondono un lato oscuro spesso sottovalutato.
- "Stai bene": chi non ha mai detto "Sei a posto!" o "Dai, non è niente!" a un bambino che si è fatto male o si è messo a piangere? È una frase che nasce dal desiderio di rassicurare il piccolo e ridimensionare la portata dell'evento, ma come spiega Mora, può effettivamente essere percepita dal piccolo come un rifiuto delle emozioni espresse. Il messaggio implicito che potrebbe arrivare la bambino è: "Non ti credo, stai esagerando". Per evitare questo rischio, la terapista propone invece di utilizzare espressioni che mostrino al figli di aver capito il loro stato d'animo e di essere pronti a supportarli ("Capisco che sia dura, ma sei al sicuro"), sia che si tratti di un ginocchio sbucciato o di un capriccio per andare a dormire mezz'ora più tardi.
- "Non è vero": spesso i genitori usano espressioni del genere di fronte a un racconto che sembra esagerato o quando due fratelli litigano e ognuno racconta una versione diversa dei fatti. Tale atteggiamento rischia però di mettere in dubbio la voce dei piccoli. Per un bambino, sentirsi dire che quello che ha visto o provato "non è vero" equivale a sentirsi non creduto, e quindi non degno di fiducia. Più costruttivo dire qualcosa come "Mi sembra che abbiamo visto le cose in modo diverso. Raccontami meglio", suggerisce Mora. Questo approccio non solo riduce il conflitto, ma incoraggia i bambini a raccontare la verità e a esplorare le proprie percezioni.
- "Questo ferisce i miei sentimenti": quando un bambino si arrabbia o vive un crollo emotivo, può compiere gesti eclatanti, come lanciare insulti, rompere oggetti o assumere atteggiamenti dirompenti. In questi momenti, un genitore potrebbe ritenere opportuno trattarlo da pari, spiegandogli quanto i suoi comportamenti siano stati dolorosi. Tuttavia, i bambini raramente possiedono la maturità necessaria per accogliere simili parole in modo costruttivo. Un fraintendimento di questi messaggi può portarli a credere di essere responsabili della felicità o dell’infelicità dei genitori, inducendoli così a nascondere o reprimere le proprie emozioni negative per proteggere la serenità di mamma e papà.
- "Non c’è niente da temere": la paura è un'emozione primaria e fondamentale per lo sviluppo, tuttavia, gli adulti tendono spesso a liquidarla con frasi come "Non c’è niente da avere paura", "È solo il buio" e via discorrendo. Il problema, sottolinea Mora, è che così si nega la realtà emotiva del bambino: se lui prova paura, quella paura esiste, anche se a noi sembra irrazionale. Molto meglio dunque prendere sul serio il sentimento del piccolo, validando il suo timore ma invitandolo a superarlo, facendo presente che il genitore sarà sempre lì a sostenerlo in caso di bisogno. Un frase come "Capisco che ti spaventi. Sono qui con te, vediamo come affrontarlo insieme", comunica sostegno, sicurezza e partecipazione, senza negare la legittimità della paura.
- "Non è un grosso problema": questa frase sminuisce l'emozione del figlio, il quale mette in discussione ciò che prova Per evitare tutto questo, la psicologa propone di prediligere alternative che, oltre a rassicurare, diano importanza alle sensazioni del bimbo: "Sembra essere dura per te. Aiutami a capire come ti senti".
- "Tutti gli altri stanno bene": simili esternazioni, spesso precedute da frasi come “Perché fai così?”, vengono utilizzate soprattutto in pubblico, quando il bambino si spaventa o si arrabbia per qualcosa. L’intento è quello di aiutarlo a osservare le reazioni delle persone intorno, per fargli capire che non c’è nulla di pauroso o sconveniente nei paraggi. Il rischio, però, è che si senta sbagliato e impari a modulare i propri comportamenti in base a ciò che fanno gli altri. Mora suggerisce invece di ribaltare la prospettiva: "Tutti percepiscono le cose in modo differente. Come posso aiutarti a stare meglio?"
Le parole hanno dunque un peso, soprattutto quando vengono pronunciate da chi rappresenta l’intero mondo emotivo di un bambino. Non si tratta di diventare genitori perfetti — quelli non esistono — ma di essere genitori consapevoli. Come ricorda Kelsey Mora, "quando i bambini si sentono compresi, imparano a comprendere sé stessi". È da questa comprensione reciproca che nasce un legame solido, capace di resistere alle paure, ai conflitti e ai silenzi dell’adolescenza. In fondo, validare i sentimenti dei figli non significa accontentarli, ma aiutarli a conoscersi, a dare un nome a ciò che provano e a crescere con la certezza di poter essere visti e ascoltati per davvero.