Il lato nascosto dei videogiochi che può abituare i bambini al gioco d’azzardo: la parola all’esperta ISS

Dalle slot digitali alle app che promettono premi in monete virtuali, fino ai videogiochi con ricompense a sorpresa, per molti ragazzi il confine tra gioco e rischio è sempre più labile, con il divertimento che dapprima si trasforma in abitudine e poi in necessità. Un fenomeno silenzioso, spesso sottovalutato, che si insinua tra smartphone e piattaforme online, dove l'azzardo assume forme nuove e più difficili da riconoscere. Secondo i rilievi effettuati nei primi mesi del 2025 dal Centro nazionale Dipendenze e Doping dell'ISS, già nella fascia di età 11–13 anni la prevalenza di chi ha fatto esperienze di gioco d'azzardo si attesta intorno al 25,4 per cento, con il 2,4 per cento che ha già sviluppato comportamenti problematici. Nella fascia 14–17 anni, la prevalenza complessiva si attesta invece al 23,4 per cento. Secondo gli esperti simili dati indicano chiaramente come che il gioco d'azzardo non sia più una questione che riguarda esclusivamente degli adulti.
"Si rischia di maturare una forte dipendenza in età molto precoce", avverte Claudia Mortali, primo ricercatore del Centro nazionale Dipendenze e Doping dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), che e Fanpage.it ha spiegato come il problema vada affrontato in modo serio e deciso, a partire dalla scelta delle parole da utilizzare: "Di fronte a questo fenomeno non si deve più parlare di ludopatia, un termine figlio di visione culturale che tendeva a vedere il problema del gioco d'azzardo più come un vizio che come una patologia. Più corretto adeguarsi al DSM (il Manuale diagnostico dei disturbi mentali, ndr) e parlare di Disturbo da gioco d'azzardo, una vera e propria dipendenza che non ha più nessun legame con l'aspetto ludico".
Quando di parla di giovanissimi però, è proprio l'aspetto "giocoso" che rischia di trasformarsi nel cavallo di Troia che avvia i ragazzini alla dipendenza. Un importante studio comparso su Lancet nel 2024 ha infatti acceso i riflettori sul delicato rapporto tra gaming e gioco d'azzardo, sottolineando come alcune dinamiche presenti in molti dei videogame più famosi vadano a sollecitare i medesimi stimoli che caratterizzano il gioco patologico.
Dottoressa, in che modo il confine tra gaming e gioco d'azzardo si è fatto così sottile?
Negli ultimi anni vediamo una sovrapposizione crescente tra i due mondi. Molti giochi online, pur non prevedendo denaro reale, riproducono meccaniche tipiche dell'azzardo: la sorpresa, la vincita casuale, la ripetizione. È quello che chiamiamo gioco d'azzardo simulato. Si paga – in moneta reale o virtuale – per ottenere una ricompensa che può essere casuale o rara.
È qui che entrano in gioco le lootbox, sempre più studiate dagli esperti come "precursori" del gioco d'azzardo?
Esatto. Le lootbox (da "loot", "bottino" in inglese, ndr) sono il principale esempio di questo meccanismo: una "scatola a sorpresa" che il giocatore acquista senza sapere cosa contenga. Può darti un oggetto prezioso o qualcosa di irrilevante. Il punto è che il premio è casuale e questo schema — pagare per tentare la fortuna — è lo stesso del gioco d'azzardo. Cambia solo la natura della ricompensa: non denaro, ma oggetti digitali, punti da spendere nello stesso videogame o potenziamenti. Dal punti di vista neurobiologico e comportamentale però, questi meccanismi sfruttano gli stessi circuiti di gratificazione e casualità.

L'ISS sta studiando proprio questo legame tra lootbox e gioco d'azzardo?
Sì, a breve avvieremo una nuova indagine finanziata dal Dipartimento politiche antidroga che per la prima volta studierà gaming e gioco d'azzardo insieme. Vogliamo capire se i giovani che utilizzano spesso il sistema delle lootbox o degli "spacchettamenti" mostrano una maggiore predisposizione a comportamenti d'azzardo problematici. È uno studio trasversale, quindi non possiamo ancora dire se uno causi l'altro, ma potremo identificare trend e correlazioni importanti nel tempo. A novembre si terrà poi la Conferenza nazionale sulle dipendenze, con un tavolo dedicato a gioco d’azzardo e gaming. Lì presenteremo le criticità e proposte scaturite da un tavolo di lavoro multidisciplinare di esperti nazionali (clinici, ricercatori, rappresentanti delle istituzioni, ecc). L'obiettivo sarà quello di un approccio integrato: sanitario, educativo e normativo.
Quali sono i segnali della dipendenza da gioco che dovrebbero mettere in allarme genitori e insegnanti?
Ce ne sono diversi: il tempo eccessivo trascorso davanti al gioco, la presenza di segnali di irritabilità o nervosismo quando si prova a interrompere il ragazzo o la ragazza durante la sessione di gioco, le richieste di denaro frequenti e poco chiare, le bugie o comportamenti nascosti, il calo del rendimento scolastico; i pensieri ricorrenti sul gioco anche quando non si gioca l'isolamento o perdita di interesse per altre attività. Insomma, Quando l'attività di gioco inizia a invadere la quotidianità e a sostituire relazioni o impegni, siamo già di fronte a uno scenario da affrontare con serietà.
Ci sono dei profilo psicologico maggiormente a rischio?
Nei nostri studi abbiamo riscontrato che chi mostra comportamenti problematici tende a presentare maggiore impulsività, difficoltà comunicative con i genitori, ansia o depressione. Spesso queste fragilità precedono l'inizio del gioco compulsivo e lo rendono più pericoloso.

Che ruolo dovrebbero avere le istituzioni in questa emergenza?
Serve innanzitutto riconoscere il disturbo da gaming come patologia vera e propria: oggi in Italia non è ancora inserito nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza, ndr) , quindi molti giovani non possono essere presi in carico dai servizi pubblici. Poi occorre lavorare ridurre lo stigma di rivolgersi a un SERD per il trattamento delle dipendenze, formare gli operatori sanitari e regolamentare i prodotti digitali che contengono elementi di rischio, come le lootbox. Inoltre è fondamentale la prevenzione nelle scuole: con il progetto "Indipendenti a scuola" dell'ISS abbiamo sviluppato materiali informativi per docenti, studenti e famiglie. L'educazione digitale è parte della tutela della salute.
E le famiglie, cosa possono fare concretamente?
Prima di tutto comunicare. Molti genitori controllano il tempo trascorso davanti allo schermo, ma trascurano il dialogo. È importante capire cosa il ragazzo fa, con chi gioca, cosa prova. Poi bisogna prestare attenzione ai segnali economici e comportamentali e, se serve, chiedere aiuto a un servizio specializzato. Soprattutto, non va mai banalizzato il problema: il disturbo da gioco d'azzardo non è un vizio ma una patologia, e come tale va affrontata con strumenti medici e psicologici adeguati.