I pensieri intrusivi nei genitori sono più frequenti di quanto pensassimo: cosa dice lo studio

I primi mesi di vita di un bambino possono rivelarsi estremamente duri e non è affatto raro che nella mente dei neogenitori affiorino idee improvvise, disturbanti o fuori controllo. Una nuova ricerca della University of East Anglia ha infatti scoperto che nel primo anno dopo la nascita pensieri intrusivi, brevi momenti di paranoia e percezioni alterate sono molto più frequenti di quanto si fosse ipotizzato. Lo studio, condotto su 349 genitori, suggerisce di ampliare lo sguardo oltre depressione e ansia per valutare l'impatto reale di stress, deprivazione di sonno e cambiamento identitario sul benessere psicologico.
I risultati hanno rivelato come il 96% abbia avuto almeno un pensiero intrusivo durante il primo anno di vita dei propri figli e l'89% ha ammesso di aver sperimentato episodi di percezione distorta o breve paranoia. Le risposte fornite hanno poi portato i ricercatori a inserire quasi un terzo dei partecipanti all'interno di una categoria definita "a rischio" per lo sviluppo di psicosi, pur senza una diagnosi clinica. "Queste esperienze non significano necessariamente la presenza di un disturbo", ha precisato la ricercatrice Jo Hodgekins, della Norwich Medical School dell'UEA, "ma possono essere molto angoscianti e incidere sulla sicurezza percepita nel proprio ruolo genitoriale".
Cosa sono i pensieri intrusivi (e perché spaventano)
I pensieri intrusivi sono immagini, impulsi o idee improvvise, spesso intense e non desiderate. Talvolta affiorano come scenari completamente sganciati dalla volontà e dalle emozioni di chi li genera, come l'idea improvvisa di spingere qualcuno da una scala non per ostilità, ma per una pura e inspiegabile curiosità su ciò che potrebbe accadere. Un'apparizione mentale rapida, che non rispecchia la reale volontà di chi la sperimenta, ma che può comunque risultare disturbante, tanto da generare vergogna o timore nel momento stesso in cui affiorano alla mente.
All'interno dello studio, i ricercatori hanno per esempio raccolto l'esperienza di madri e padri che per un attimo si sono chiesti che cosa sarebbe successo se avessero dato uno schiaffo al bambino o se lo avessero scosso durante un pianto inconsolabile. A simili pensieri si affiancavano però anche paure irrazionali ("E se il bambino smettesse di respirare mentre dorme?") o immagini catastrofiche, come quella di una casa in fiamme.
Tutte queste idee fulminee – è bene precisarlo – non hanno mai avuto un seguito concreto nelle azioni dei genitori partecipanti all'esperimento, ma in molti casi erano comunque riusciti ad alimentare un forte senso di colpa e la paura di "essere genitori sbagliati". La ricerca ha però chiarito che chi prova questi pensieri non ha maggior rischio di metterli in atto: il disagio nasce solamente dallo scarto tra ciò che si sente e ciò che si teme di essere.
Fragilità da genitori (soprattutto per i padri)
Oltre ai pensieri intrusivi, molti genitori hanno riferito di aver vissuto brevi momenti di sospetto o interpretazioni distorte della realtà, come la sensazione di essere osservati, rumori percepiti come minaccia, reazioni emotive sproporzionate. Si tratta di episodi transitori, spesso legati alla privazione di sonno (un fenomeno frequente per i neogenitori) e allo stress continuo.
La ricerca ha anche registrato una significativa vulnerabilità paterna. Nel campione analizzato, i padri hanno riportato un numero più alto di pensieri intrusivi e livelli più alti di stress genitoriale, ansia e depressione rispetto alle madri. L'indagine ha precisato che il campione non era perfettamente bilanciato – circa il 90% dei partecipanti era composto da donne – ma il fenomeno ha comunque evidenziato una coerenza che merita approfondimenti.
Per Hodgekins, questa fragilità paterna ha una radice narrativa. Ancora oggi la figura del padre resta legata culturalmente al ruolo di sostegno, contenimento, forza. Nel post partum l'identità maschile attraversa una transizione silenziosa che spesso non trova parole né luoghi di espressione. Le reti di supporto, dai consultori agli spazi di confronto tra genitori, rimangono pensate e strutturate soprattutto per la maternità. "I padri vivono una ridefinizione inattesa del ruolo e delle responsabilità – ha sottolineato Hodgekins – con un impatto non secondario sul vissuto emotivo e sulla percezione di sé".
Dalla normalizzazione al supporto
Per gli autori dello studio, riconoscere l'esistenza di questi fenomeni rimane il primo passo per ridurre lo stigma. Normalizzare non significa minimizzare, ma permettere ai genitori di attribuire un nome alle proprie paure senza vergogna. "Serve anche sostegno mirato per chi vive un disagio più intenso", ha osservato Hodgekins. Quando i pensieri intrusivi diventano costanti o interferiscono con la vita quotidiana, il confronto con professionisti (il medico di base, ostetrica o anche uno psicologo perinatale) può alleviare la sofferenza e migliorare l’esperienza di cura. In ogni caso, quando si sperimentano esperienze del genere, la prima cosa che una madre o un padre deve ricordarsi è che questi pensieri parlano della fatica, dello sforzo e della stanchezza del momento, non della natura del genitore.