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I genitori non usano il parental control, ma la colpa non è loro: “Modalità attuali troppo rigide e complesse”

Quando si parlata di contenuti multimediali o attività online, molti genitori evitano i controlli parentali non per superficialità, ma a causa della poca chiarezza e dell’eccessiva rigidità degli strumenti. Due ricercatrici hanno approfondito la questione, evidenziando i limiti dello strumento e ricordando come il dialogo in famiglia sia sempre l’arma più efficace la sicurezza online dei più piccoli.
A cura di Niccolò De Rosa
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Educare i figli nell’era digitale non è semplice. Smartphone, videogiochi e social media moltiplicano le occasioni di scoperta, ma anche i rischi. Per molti genitori, garantire la sicurezza online dei figli è una preoccupazione quotidiana: filtri, limiti di tempo, controlli parentali. Eppure, nonostante la crescente offerta di strumenti tecnologici, in tanti si sentono inadeguati o frustrati. E c’è chi sostiene che il problema non sia solo la scarsa preparazione dei genitori, ma anche il modo in cui questi strumenti sono progettati. A sottolinearlo, sul sito The Conversation, sono state le ricercatrici Sara M. Grimes della McGill University e Riley McNair, University of Toronto, che invitano a ripensare il parental control per renderlo davvero utile ed efficace.

Genitori stressati e strumenti poco usati

Il Family Online Safety Institute (FOSI)ONLUS internazionale che punta a rendere il mondo online più sicuro per bambini e famiglie, ha recentemente pubblicato un'indagine annuale sulla sicurezza online che rivela un dato sorprendente: quasi la metà dei genitori intervistati non usa controlli parentali sui dispositivi dei figli. Questi strumenti, in teoria, dovrebbero aiutarli a filtrare contenuti inappropriati o bloccare interazioni rischiose, ma secondo gli autori del rapporto, molti genitori evitano di usarli perché si sentono "sopraffatti" dalla loro complessità.

Grimes e McNair sono però andate ancora oltre questa spiegazione e attraverso interviste e studi pluriennali con genitori e minori hanno provato a capire cosa non funziona veramente nelle forme di parental control attualmente disponibili per gli utenti. "Il problema principale non si limita solo alla mancanza di formazione nell'utilizzo – hanno spiegato – ma riguarda il modo stesso in cui questi strumenti sono progettati". Spesso infatti il parental control obbliga a scelte rigide e poco chiare, non adattandosi alla maturità del bambino o alle regole di casa.

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Esperienze di bambini e genitori

Per tre anni consecutivi, il team di Grimes e McNair ha intervistato 33 bambini, tra i 6 e i 12 anni, chiedendo opinioni sulla sicurezza online, le classificazioni dei contenuti e privacy e le diverse modalità di gestione delle attività di gaming dei figli. È così emerso che molti adulti non usavano controlli parentali non per mancanza di interesse, ma per sfiducia, trovandoli poco efficaci, difficili da configurare e incapaci di spiegare l’impatto delle impostazioni sul gioco. Piuttosto che farsi aiutare dalla tecnologia, alcuni genitori hanno raccontato di preferire un approccio più "dialogico", parlando con i figli dei contenuti ai quali non avevano il permesso di accedere o giocando ai videogame insieme a loro. Alcuni bambini non sapevano nemmeno che i genitori avessero attivato controlli, altri ancora non capivano a cosa servissero. In questi casi, però, la protezione "invisibile" operata dai genitori rischiava di oscurare una lezione fondamentale: riconoscere i rischi online.

I limiti del parental control

Stando a quanto osservato dalle ricercatrici, un simile uso del parental control non si traduce automaticamente in maggiore sicurezza. Anzi, se applicato senza trasparenza o confronto, può generare incomprensioni e conflitti familiari. Inoltre, molti strumenti attuali mancano di informazioni chiare: ad esempio, un genitore che vuole limitare l’uso di un videogioco potrebbe non sapere come certe opzioni modifichino l’esperienza di gioco. I menù sono spesso pensati per esperti o usano termini tecnici che spaventano chi ha poca dimestichezza.

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Secondo Grimes e McNair, queste barriere spingono alcuni genitori a rinunciare del tutto, oppure a delegare la sicurezza al “controllo nascosto” senza costruire consapevolezza. Ma così si perde l’occasione di aiutare i bambini a riconoscere da soli i pericoli e a gestire situazioni difficili, sviluppando quella resilienza che li proteggerà anche in futuro.

La forza del dialogo

Le due ricercatrici sostengono che la comunicazione aperta tra genitori e figli sia lo strumento più potente per la sicurezza online. Parlare di rischi, strategie di difesa, esperienze di gioco crea un clima di fiducia."Il dialogo favorisce la resilienza – spiegano – e riduce la possibilità che i bambini subiscano danni in caso di incontri online negativi".

Anche il rapporto del FOSI mette in luce questo aspetto: nelle famiglie in cui si discute di sicurezza online almeno sei volte l’anno, genitori e figli vedono i controlli parentali come strumenti più utili. In questi contesti il parental control non è un’imposizione, ma parte di uno sforzo condiviso per navigare in sicurezza.

Ripensare gli strumenti per il futuro

Infine, Grimes e McNair mettono in guardia contro l’idea che il parental control sia una soluzione miracolosa. Molti strumenti hanno gravi difetti di progettazione, ignorano le reali esigenze di famiglie e bambini, e non favoriscono la comunicazione. E con i legislatori che spingono per rendere obbligatori i controlli in molte leggi sulla sicurezza dei minori, il rischio è di consolidare strumenti inefficaci. "Serve un ripensamento profondo", concludono, ricordando come la sfida sulla protezione dei piccoli online quanto mai urgente, visto il mondo digitale tende ormai a diventare parte integrante della vita dei più piccoli fin dai primi anni.

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