I consigli della psicologa per smettere di litigare con i figli per i compiti: “Più autonomia e routine sicure”

Ogni anno si riapre il dibattito: i compiti a casa servono davvero? C'è chi li considera uno strumento utile per consolidare l’apprendimento e chi, al contrario, li vede come una fonte di stress inutile. Eppure, finché fanno parte del programma scolastico, è inevitabile confrontarsi con il tema. Per molti genitori, però, il momento dei compiti diventa un terreno di scontro quotidiano dove andare a muso duro contro i ragazzi – spesso additati come svogliati e fannulloni – spesso può solo peggiorare la situazione. Esistono strategie per rendere questo momento più sereno, restituendo ai bambini e ai ragazzi un po' di autonomia e ai genitori un po' di tranquillità.
Secondo la psicologa e pedagogista Lauren Hartman, difficoltà ricorrenti con i compiti possono essere il segnale di qualcosa di più complesso di una semplice mancanza di voglia. "Se i compiti richiedono sempre troppo tempo o diventano fonte costante di conflitto, il bambino potrebbe avere un disturbo dell’apprendimento, l'ADHD, ansia o depressione", ha spiegato l'esperto sull'HuffPost del Regno Unito. In questi casi è importante parlarne con gli insegnanti o con il pediatra, per capire se serve un sostegno specifico. Riconoscere precocemente un problema può infatti evitare che il momento dello studio si trasformi in un'esperienza frustrante o ansiogena.
Spazio e routine: la chiave della serenità
Quando si parla i studio e compiti, la struttura, sottolinea Hartman, è "essenziale per i bambini di ogni età". Avere un luogo dedicato allo studio e un orario stabile aiuta a creare un'abitudine positiva. "La prevedibilità riduce le trattative quotidiane e fa sì che i compiti diventino parte della routine, non un terreno di battaglia", ha affermato. Anche il momento in cui si affrontano i compiti è importante: meglio evitare l'ora immediatamente successiva al rientro da scuola. Spesso si ritiene che mettersi subito sui libri dopo le lezioni mantenga "freschi" gli argomenti appena trattati, tuttavia l'assenza di una finestra di svago e riposo impedisce ai bambini di decomprimere le fatiche della giornata e rende molto meno produttivo lo studio. Un'ora di gioco, una merenda, un po' di tempo all'aperto o semplicemente un momento di quiete possono invece fare la differenza.

Motivazione o difficoltà di contenuto?
Non tutti i rifiuti nascono per le stesse ragioni. A volte la resistenza è legata alla fatica di concentrarsi, altre a un compito troppo complesso. "Se il problema è il contenuto, non la motivazione, è utile incoraggiare i figli a chiedere aiuto agli insegnanti", spiega Hartman. Imparare a comunicare le proprie difficoltà è una competenza che accompagnerà i ragazzi per tutta la vita scolastica. I più piccoli avranno bisogno del supporto dei genitori per farlo, ma è importante che col tempo imparino a gestire da soli questo dialogo.
Per i bambini della scuola primaria, mostrare interesse per quello che imparano è infatti fondamentale. "È cruciale far capire che i compiti servono a ripassare ciò che si è appreso e a scoprire dove serve più esercizio", spiega Hartman. Parlare di ciò che piace o non piace, fare domande e valorizzare l'impegno aiuta a costruire un legame positivo con lo studio. Quando invece il bambino rifiuta di fare i compiti, l'esperta invita alla calma: se il ragazzo è stanco o affamato, meglio meglio fare una pausa e riprendere il lavoro più tardi. Spesso le pause sono più produttive delle discussioni. Anche il rinforzo positivo – una lode o una piccola ricompensa per stimolare la ripetizione del buon comportamento – può giocare un ruolo importante, ma non deve trasformarsi in un sistema di premi. "Un complimento, un riconoscimento per la tenacia o dieci minuti extra del programma preferito bastano per motivare e valorizzare l'impegno", sottolinea Hartman.

Gli adolescenti: fiducia e responsabilità
Quando i figli crescono, anche il modo di accompagnarli nei compiti deve cambiare. Il primo passo, secondo Hartman, deve essere quello di fissare un momento di dialogo tranquillo, lontano dalle tensioni. È importante esprimere chiaramente le aspettative, ma anche accettare che i ragazzi sperimentino le conseguenze delle proprie scelte. "Se non fanno i compiti e subiscono le conseguenze a scuola o vedono calare i voti, quell'esperienza sarà più formativa di qualsiasi rimprovero", osserva la psicologa. Questo non significa ovviamente abbandonarli a se stessi. I genitori dovrebbero continuare a monitorare l'andamento scolastico e intervenire se i voti peggiorano in modo significativo o se emergono segnali di disagio. L'obiettivo è favorire la responsabilità personale, non il controllo.
Un'altra strategia utile è la risoluzione condivisa dei problemi: chiedere ai figli cosa impedisca loro finire i compiti? o cosa possa rendere più semplice farli aiuta i ragazzi a riflettere sul problema e a trovare soluzioni autonome. Coinvolgerli nella pianificazione aumenta il senso di controllo e la motivazione. "Siate disponibili ad aiutare, ma lasciate che siano loro a gestire i compiti. È il primo passo per diventare autonomi", ha concluso Hartman, ricordando come l'interesse genuino per ciò che i figli stanno imparando, conti molto più del voto finale.