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I bambini con ADHD ricevono ancora troppi trattamenti sbagliati: lo rivela un nuovo studio

Un nuovo studio coordinato dall’Università di Stanford rivela che molti bambini di 4 e 5 anni con diagnosi di ADHD ricevono farmaci subito, in contrasto con le linee guida che raccomandano sei mesi di terapia comportamentale prima della prescrizione. Un approccio precoce ai medicinali può portare più effetti collaterali che benefici e riflette le difficoltà di accesso ai trattamenti non farmacologici.
A cura di Niccolò De Rosa
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Un numero crescente di bambini in età prescolare riceve farmaci per l'ADHD subito dopo la diagnosi, in contrasto con le linee guida ufficiali che raccomandano di iniziare con la terapia comportamentale. È quanto emerge da uno studio guidato da Stanford Medicine e pubblicato su JAMA Network Open, che ha analizzato le cartelle cliniche di quasi 10.000 piccoli pazienti negli Stati Uniti.

L'ADHD – disturbo da deficit di attenzione e iperattività – si manifesta con impulsività, difficoltà di concentrazione e iperattività.  L'American Academy of Pediatrics raccomanda che nei bambini di quattro e cinque anni la prima risposta terapeutica sia la cosiddetta parent training in behavior management, una forma di terapia comportamentale che coinvolge attivamente le famiglie. Solo dopo sei mesi, se i risultati non sono soddisfacenti, si può valutare l’uso di farmaci. "Abbiamo riscontrato che molti bambini ricevono prescrizioni di farmaci molto presto, appena diagnosticati", spiega Yair Bannett, pediatra e autore principale dello studio. "È preoccupante, perché iniziare con un approccio comportamentale porta grandi benefici sia al bambino che alla famiglia".

I rischi di un approccio troppo rapido

I farmaci stimolanti, tra i più prescritti per l’ADHD, possono avere effetti collaterali più marcati nei bambini piccoli rispetto a quelli in età scolare. Prima dei sei anni, infatti, l'organismo non metabolizza completamente le sostanze, aumentando la probabilità di irritabilità, sbalzi emotivi e aggressività. "Non ci sono rischi di tossicità", precisa Bannett, "ma molti genitori finiscono per sospendere la cura perché gli effetti collaterali superano i benefici".

Immagine di repertorio
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I dati dello studio

Analizzando i dati di oltre 700.000 bambini tra i 3 e i 5 anni visitati dal pediatra tra il 2016 e il 2023, i ricercatori hanno individuato 9.708 diagnosi di ADHD, pari all’1,4 per cento del campione. Di questi, il 42,2 per cento ha ricevuto farmaci entro un mese dalla diagnosi, mentre solo il 14,1 per cento ha iniziato la terapia farmacologica dopo i sei mesi raccomandati. In assenza di dati certi sui percorsi di terapia comportamentale, il dato suggerisce che la maggioranza dei bambini non riceve il trattamento iniziale indicato dalle linee guida.

Perché la diagnosi precoce è importante

Nonostante le criticità, identificare l'ADHD già in età prescolare resta fondamentale. Senza un trattamento adeguato, i bambini hanno maggiori probabilità di incontrare difficoltà scolastiche e di non completare gli studi. Intervenire in tempo migliora le prestazioni accademiche e riduce il rischio di problemi anche in età adulta, come difficoltà lavorative, relazioni instabili o comportamenti a rischio.

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Terapia comportamentale: come funziona

La terapia comportamentale non agisce sui sintomi in sé, ma sull’ambiente del bambino. Insegna ai genitori a rafforzare i comportamenti positivi, a gestire quelli negativi senza punizioni eccessive e a introdurre strumenti pratici, come calendari visivi o routine strutturate. L'obiettivo è costruire abitudini compatibili con il funzionamento del cervello del bambino.
I farmaci, al contrario, riducono temporaneamente sintomi come l’iperattività e la scarsa attenzione, ma non offrono strumenti duraturi. "Per i bambini sopra i sei anni", sottolinea Bannett, "la combinazione di entrambe le terapie è la scelta più efficace, perché i farmaci alleviano i sintomi e la terapia comportamentale fornisce competenze che restano nel tempo".

Uno dei motivi principali della discrepanza tra i trattamenti consigliati e quelli effettivamente somministrati sembra infatti risiedere proprio nella difficoltà di accesso alla terapia comportamentale. In molte zone (e l'Italia rientra perfettamente in queato quadro) mancano professionisti formati, in altre i costi non sono coperti dalle assicurazioni. "Molti medici ci dicono: non abbiamo dove indirizzare le famiglie, quindi prescrivere un farmaco sembra l’unica opzione", racconta Bannett. Per colmare questa lacuna, gli esperti suggeriscono di diffondere risorse online gratuite o a basso costo, che possano aiutare i genitori a mettere in pratica i principi della terapia comportamentale anche senza un percorso specialistico immediato.

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