“Ho una malattia inguaribile e grazie alle cure palliative pediatriche non ho rinunciato a vivere”: la storia di Filippo

"È grazie alle cure palliative pediatriche che nonostante la mia malattia inguaribile, non ho mai rinunciato a vivere una vita piena" sono le parole di Filippo Arnaudo, graphic designer e divulgatore che racconta la sua disabilità attraverso la sua pagina social.
Arnaudo si è raccontato a Fanpage.it, spiegando quanto le cure palliative pediatriche siano un diritto che dovrebbe essere di tutti i bambini, in occasione del 25 maggio, la Giornata Nazionale del Sollievo, volta a sensibilizzare sul tema del sollievo fisico e morale delle persone che si avvicinano al fine vita. Tra queste persone, come ci ha spiegato lo scorso anno la professoressa Franca Benini, ci sono molti bambini, si stimano 22 milioni di minori a livello globale, anche se il nostro Paese sembra voler chiudere gli occhi dinnanzi alla possibilità che mali inguaribili colpiscano anche i più piccoli.
Ad oggi solo il 25% della popolazione pediatrica ha accesso a cure palliative dedicate, e sono 8 le regioni senza neanche un centro specializzato in questo sistema di supporto e sostegno, fatto di cure per il corpo e per l'anima, che prendono in carico il bimbo malato e tutta la famiglia, accompagnandola a vivere nel migliore dei modi la malattia e la scomparsa di un piccolo membro della stessa. C'è chi però si batte sul territorio nazionale per cercare di promuovere le cure palliative pediatriche, come la Fondazione Maruzza ETS che ha organizzato anche quest'anno il Giro d’Italia delle Cure Palliative Pediatriche, volto a portare queste cure in ogni punto dello Stivale, da Padova, luogo in cui nacque il primo Hospice pediatrico italiano, a Palermo, dove si concluderà l'evento il 15 giugno.
Ciao Filippo, ci racconti la tua storia?
Mi chiamo Filippo, ho 25 anni e sono un ragazzo con disabilità, ho una malattia rara (distrofia muscolare) e mi sposto grazie alla mia carrozzina elettrica. Vivo a Vittorio Veneto (TV), sono un graphic designer e in generale mi reputo una persona curiosa, amo la comunicazione visiva, il design e il mondo dei social. Da 15 anni sono seguito dall’hospice pediatrico Casa del Bambino di Padova, dove ho iniziato a ricevere cure palliative pediatriche. La mia è una malattia rara e inguaribile, ma questo non significa che io abbia rinunciato a vivere. Anzi: ho imparato a farlo con ironia, creatività e cercando di rompere ogni stereotipo legato alla disabilità, soprattutto creando dei contenuti social per il mio profilo Instagram @pippoarnaudo, dove cerco di trasformare la mia esperienza personale in qualcosa che possa far riflettere, sorridere e, perché no, cambiare prospettiva a chi mi segue sul tema della disabilità.
Cosa sono, per la tua esperienza, le cure palliative pediatriche?
Sono tutto ciò che sta prima del dolore e oltre la malattia. Non sono “l’ultimo passo”, come tanti pensano, ma un accompagnamento concreto, quotidiano, che ti aiuta a vivere meglio. Per me sono state una rete di sostegno, una presenza costante che non mi ha mai fatto sentire solo: né a livello medico, né psicologico, né umano.
Cosa significa avere la consapevolezza di avere una malattia inguaribile fin dall’infanzia?
Non è mai stato un grosso disturbo; certo da piccolo ogni tanto mi sentivo un po’ diverso o fuori posto. Ma crescendo, se hai attorno le persone giuste e i supporti adeguati, inizi a dare un altro significato a quella parola e scopri che “inguaribile” non vuol dire “finita”. Ho imparato che anche con una diagnosi difficile si può costruire una vita piena. La consapevolezza non mi ha tolto la voglia di sognare, mi ha solo insegnato a farlo in modo più autentico.
In che modo le cure palliative pediatriche ti sono state e ti sono fondamentali?
Mi hanno aiutato a non concentrarmi solo sulla malattia. A vivere con qualità, a gestire la mia patologia, a trovare soluzioni pratiche, ma anche a parlare dei miei limiti senza vergogna. Sono state fondamentali per la mia autonomia, per la mia salute mentale e per trovare un equilibrio anche nei momenti più difficili.
Come hanno inciso queste cure sulla vita dei tuoi cari oltre che sulla tua?
Tantissimo. Le cure palliative pediatriche non supportano solo il paziente, ma anche la famiglia. Hanno aiutato i miei genitori a non sentirsi soli, a gestire le difficoltà e ad affrontare tutto con più serenità. Per chi sta vicino a una persona con una malattia inguaribile, questo fa la differenza tra “sopravvivere” e “vivere”.
Sui social racconti le barriere architettoniche e mentali e spieghi come abbatterle, il tuo approccio ironico alla tua condizione è stato dato anche dal supporto di medici, psicologi e chi ha fatto parte delle cure palliative nella tua vita?
Assolutamente sì. Se oggi riesco a parlare della mia condizione con ironia, è perché ho avuto accanto persone che mi hanno insegnato a non avere paura, a non chiudermi, a non compatirmi. Psicologi, medici, amici, insegnanti: mi hanno fatto sentire visto, ascoltato, rispettato. E quando ti senti così, è più facile trovare la forza per ridere, anche delle cose difficili.
Solo il 25% dei bambini, che ne hanno bisogno, riescono effettivamente ad accedere alle cpp, cosa pensi di questi dati?
Penso che sia inaccettabile. Le cure palliative pediatriche non sono un “di più”: sono un diritto. Ogni bambino con una malattia inguaribile dovrebbe poter accedere a questo tipo di cura, senza ostacoli. E invece spesso mancano strutture, personale formato, risorse. Serve una rivoluzione culturale e politica per cambiare questo dato. E servono anche storie come la mia, per far capire che si può e si deve fare meglio.
Come è stato spiegare la tua condizione ai compagni di classe? Ti hanno aiutato le cure palliative pediatriche in questo?
Da piccolo avevo paura del giudizio, di non essere capito. Ma fortunatamente ho sempre trovato amici che mi hanno trattato come gli altri bambini e non mi hanno mai fatto sentire escluso o diverso e le cure palliative mi hanno aiutato anche su questo: grazie al lavoro fatto con psicologi ho imparato a comunicare la mia condizione con parole semplici ma chiare. E una volta che inizi a raccontarti con naturalezza, anche gli altri imparano a guardarti con occhi diversi.
Cosa ti senti di dire nella giornata dedicata al sollievo?
Mi sento di dire che il sollievo non è solo fisico: è anche emotivo, sociale, relazionale. È sentirsi accolti. Capiti. È sapere che c’è una rete che ti sostiene, anche nei momenti peggiori. In questa giornata, vorrei che più persone sapessero che le cure palliative pediatriche sono anche vita. E che ogni bambino merita non solo di essere curato, ma anche di essere sollevato nel corpo e nell’anima.