“Giocano da soli, ma non crescono”: due esperti spiegano quali sono i rischi dell’abuso di videogame

In un’epoca in cui i videogiochi rappresentano una delle principali forme di intrattenimento per bambini e adolescenti, molti studiosi ed esperti di educazione continuano a guardare con una certa diffidenza il mondo videoludico. Se infatti la complessità raggiunta da trame e le dinamiche di gioco dei nuovi prodotti di gaming possono fornire ai ragazzi interessanti stimoli per migliorare la coordinazione occhio-mano e potenziare alcune competenze molto utili da spendere nel mondo degli adulti (una su tutte, il sempre caro problem solving), l'utilizzo di prodotti progettati per catturare l’attenzione e fidelizzare il giocatore – , spesso a discapito della crescita relazionale, corporea e creativa – può comportare rischi troppo spesso sottovalutati. Fanpage.it ne ha parlato con Daniele Novara – pedagogista e fondatore del fondatore del Centro PsicoPedagogico per l'educazione la gestione dei conflitti – e l’insegnante e formatore Simone Lanza, i quali hanno sottolineato come dietro i falsi miti e le chiacchiere da boomer si nascondano in realtà degli effettivi rischi che è bene non prendere sotto gamba.
Cosa distingue, dal punto di vista educativo, un videogioco "commerciale" da un'esperienza di gioco realmente formativa?
Per prima cosa, ricordiamo che l’industria dei videogiochi ha registrato profitti per quasi 2,4 miliardi di euro, e che globalmente potrebbe superare i 300 miliardi entro il 2026. Questo chiarisce benissimo come lo scopo dei videogiochi sia quello di massimizzare vendite e tempo sulle piattaforme. Un tempo passato in solitudine, senza il contatto visivo con altre persone, senza uno scambio reale che sostiene la crescita. Per imparare, un bambino o una bambina necessitano di corpi veri, di dialogo in tempo reale. L’idea che il digitale possa sostituire la realtà è anacronistica ed è veicolata dal marketing delle multinazionali di cui sopra. Già la Montessori incentrava il suo metodo educativo sulle mani, sul fare, sulla corporalità. Rassicuriamo tutti e tutte: da allora i bambini e le bambine non sono cambiati.

Alcuni studi sembrano indicare benefici cognitivi nell’uso dei videogiochi, in particolare per attenzione visiva e riflessi. A vostro avviso, questi vantaggi possono avere un riscontro anche nella vita quotidiana di bambini e ragazzi?
I vantaggi esistono, ma sono settoriali e non generalizzabili. Secondo alcuni studi possono avere effetti positivi lievi sulle competenze visuo-spaziali sia negli adolescenti sia nei preadolescenti. Tuttavia un tempo di reazione più rapido o una visione periferica più acuta non si traducono in una migliore concentrazione scolastica o capacità di apprendere. Sono, anzi, dannosi. Lo studio italiano di Trisolini, Petilli e Daini ha dimostrato che i videogiocatori incalliti mostrano un peggioramento nell’attenzione sostenuta, essenziale per apprendere. Il famoso neuroscienziato Jean-Philippe Lachaux lo afferma chiaramente: "Non conosco studi che mostrino che i videogiochi aiutino gli alunni a concentrarsi in classe".
Quanto conta il tipo di videogioco nella valutazione educativa? Esistono generi o titoli che secondo voi si avvicinano a una forma di gioco più creativa, meno ripetitiva e più relazionale?
È chiaro che all’interno della sfera "videogame" ci sono varie sfumature e che un gioco cooperativo e incentrato sul ragionamento è differente da uno sparatutto o da un gioco horror/splatter. Il problema di fondo però rimane: le relazioni, quando ci sono, sono sempre mediate e molto marginali rispetto al gioco. I corpi non sono in "con-tatto", non si incontrano così come i visi rimangono sconosciuti. Non c’è esperienza reale e la creatività rimane sempre intrappolata in un sistema di ricompense e di dipendenza che ne snatura il senso.

Dove si trova, secondo voi, la soglia tra un uso sano e un uso problematico del videogame?
Età e tempo di utilizzo sono i fattori più importanti. In infanzia sarebbe meglio evitare i videogame e stare all’aperto, sviluppando sia le capacità intellettive che quelle motorie. Se non si riuscisse a evitare totalmente i videogame, sicuramente sarebbe meglio utilizzarli per un tempo limitato, sicuramente meno di un’ora, e in orari lontani da quelli del riposo, mai tutti i giorni. Conviene ricordare che l’’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto nel 2019 il gaming disorder come una patologia, inserita ufficialmente nell’ICD-11 (la Classificazione Mondiale delle Malattie, ndr) dal 2022. La dipendenza da videogioco mostra tassi di prevalenza paragonabili a disturbi ossessivo-compulsivi o legati all’abuso di sostanze.
Quali segnali di disagio dovrebbe cogliere un genitore?
I segnali possono essere molti, uno su tutti sono le crisi nel momento in cui si richiede al figlio o alla figlia si terminare di giocare. O la tendenza a voler giocare rinunciando alla possibilità di uscire e di incontrare dal vivo i coetanei. Anche disturbi del sonno possono essere segnali da non trascurare, ma il segnale più chiaro è quando si alzano presto nei giorni festivi per andare a giocare con i videogiochi.

Molti genitori faticano a regolamentare l’uso dei videogame in casa. Quali strategie pratiche consigliate per stabilire limiti efficaci senza scatenare conflitti continui?
Stabilire regole chiare e condivise: tempi di utilizzo, contenuti consentiti, momenti della giornata in cui è possibile giocare. Non dimentichiamo poi la coerenza e l’esempio: coinvolgere i figli in attività alternative, magari organizzare uscite e incontri con coetanei o stimolare occasioni di svago all’aperto può essere un buon punto di partenza. Il punto principale è non rinunciare al proprio ruolo genitoriale e organizzarsi, a seconda delle età, per essere genitori preparati a fare le mosse giuste, evitando di diventare amiconi e compagni di merenda dei propri figli
Alcuni videogiochi recenti propongono storie complesse, mondi narrativi articolati e possibilità cooperative online. Questo tipo di esperienza può avere un valore educativo o relazionale?
Nei giornali patinati si citano sempre i videogiochi intelligenti, ma noi siamo educatori a contatto con il mondo reale di oggi. Nel mondo reale quali videogiochi vengono usati dalla maggioranza dei bambini? A rendere i videogiochi particolarmente coinvolgenti – e potenzialmente pericolosi – è il loro design. I videogiochi con cui oggi bambini e (un po’ meno) le bambine giocano contengono molte possibilità di miglioramento tramite microtransazioni che permettono di acquistare contenuti estetici come le Skin dei personaggi, vestiti, armi, effetti speciali, etc.. che non influiscono sulle prestazioni. Le medesime microtransazioni possono però anche apportare potenziali vantaggi di gioco (pay-to-win), come un equipaggiamento più potente, oggetti rari, livelli sbloccati, energia extra, valuta di gioco, elementi che possono migliorare la prestazione, velocizzare la progressione o offrire vantaggi competitivi.

Perché simili elementi sono tanto insidiosi?
I videogiochi di oggi non hanno la scritta "game over" e si basano su principi neuroscientifici, in particolare quelli della gratificazione differita o intermittente e del circuito dopaminergico per mantenere l'interesse e la dipendenza del giocatore. Dalla nostra esperienza sul campo a stretto contatto con bambini/e e famiglie non possiamo che condividere quanto rilevato ironicamente da Alberto Pellai, cioè di non avere mai sentito frasi come: "Da quando è arrivata la PlayStation, la vita della nostra famiglia è decisamente migliorata!". I videogiochi con finalità educative esistono ma non sono quelli usati dalla stragrande maggioranza, questo è il problema reale.
In una società sempre più digitale, è realistico pensare di escludere del tutto i videogiochi dalla vita dei più giovani? O si tratta piuttosto di educare all’uso consapevole?
Facciamo un semplice esempio. Siamo una società in cui lo sportarsi è diventato un diritto di tutti e tutte e nella quale sono molte le famiglie che posseggono più di un’auto. In questo contesto, è realistico vietare a un 16enne di guidare un’automobile? Il punto è che ci vuole la volontà di muoversi in questa direzione e la consapevolezza dei rischi che si corrono con un uso smodato dei videogame. Rischi che, al momento, sono assolutamente minimizzati da quando ci sono centinaia di miliardi di euro in ballo.