“Filmare i figli mentre piangono è puro esibizionismo”: l’attacco della giornalista contro lo sharenting

Negli ultimi anni, scorrere i social è diventato un gesto quotidiano che mette in scena la vita privata di milioni di persone. Tra i contenuti più diffusi e controversi ci sono quelli che ritraggono bambini nel pieno delle loro emozioni: pianti, capricci, rabbia. Per molti genitori, filmare questi momenti è diventata una routine, quasi naturale, così come postare foto di viaggi o ricette.
Da tempo molti psicologi, pedagogisti e perfino giuristi mettono in guardia sui pericoli dello sharenting (questo il nome dato al fenomeno, nato dalla crasi dei termini inglesi to share, "condividere" e parenting, "genitorialità"), ma questa volta a scagliarsi contro la pratica di postare sui social contenuti che hanno per protagonisti inconsapevoli i più minori è Rhiannon Lucy Cosslett, opinionista del quotidiano britannico The Guardian, che nel suo recente editoriale, ha raccontato l'esperienza disturbante di trovarsi di fronte a scene di bambini vulnerabili condivise online: "Ho visto video dopo video di bambini nel momento della loro massima vulnerabilità. Piangevano, urlavano, a volte si dimenavano fisicamente", scrive Cosslett, che proprio partendo da quel disagio ha deciso di sviluppare una riflessione più ampia sulla tendenza sempre più diffusa di rendere uno spettacolo pubblico anche i momenti privati dei più piccoli.
Il paradosso dei "big feelings"
Negli ultimi anni, la filosofia della genitorialità gentile che invita a riconoscere e accogliere le "grandi emozioni" dei bambini, ha conquistato genitori e influencer. L’espressione – "big feelings" in inglese – è diventata un marchio culturale e commerciale, simbolo di un'educazione più empatica. Eppure, secondo Cosslett – anch'essa madre – questa moda si sta trasformando in un pretesto per spettacolarizzare o addirittura monetizzare la fragilità infantile.

"Filmarsi mentre si gestisce un capriccio o un momento di rabbia del figlio non è un atto pedagogico, è una forma di esibizionismo travestita da lezione educativa", accusa la giornalista, la quale respinge anche le giustificazioni di chi afferma di condividere simili contenuti per educare e sensibilizzare e non per ricevere approvazione. Questi video, prosegue la giornalista, non sembrano infatti molto diversi da quei discutibili trend dove gli adulti lanciano fette di formaggio sul viso dei bambini o rompono un uovo sulla loro testa per provocare una reazione sorpresa e ottenere visualizzazioni. Entrambe le categorie di contenuti puntano infatti a trasformare l'infanzia in una performance dove, in nome dell'autenticità o della volontà d'intrattenimento, i genitori finiscono per creare una distanza tra sé e i propri figli, sostituendo la relazione reale con la rappresentazione digitale.
L'illusione del "momento educativo"
In molti casi, questi contenuti vengono presentati infatti come "momenti di apprendimento", dove genitori o professionisti mostrano tecniche per calmare un bambino in preda a un pianto disperato, come se la sofferenza emotiva fosse un tutorial. Ma per Cosslett il problema non è solo etico, ma relazionale.

"Ciò che vedo, quando guardo un video di un bambino in difficoltà, è una mancanza di presenza. È il tradimento del dovere di stare accanto a tuo figlio", scrive. Secondo la giornalista, infatti, nel momento in cui si sceglie di impugnare il telefono, si sposta l'attenzione del contenuto che cessa di rivolgersi al bambino, ma ammicca allo sguardo dello spettatore. Cosslett si chiede anche quale messaggio riceva quel bambino: "Cosa impara, se ogni volta che esprime un’emozione, il genitore prende in mano il telefono?"
La privacy dei piccoli, il dovere dei grandi
Il tema, per Cosslett, non è però questione di semplice moralismo ma di responsabilità adulta. Se la genitorialità contemporanea ha finalmente imparato a validare le emozioni dei bambini, allora dovrebbe anche proteggerle. "Non credo che si possa davvero offrire un luogo sicuro a un bambino se, nel momento della sua vulnerabilità, si invade la sua privacy e la sua dignità", afferma l'autrice, che si è detta consapevole che probabilmente molti troveranno il suo giudizio estremo. Cosslett però non ha intenzione di muoversi di un passo dalla sua posizione: meglio un momento di goffaggine che un frammento di dolore archiviato nei server dei social. "Se, come recita un vecchio adagio, ‘ogni comportamento è comunicazione', cosa stanno comunicando questi adulti?". Forse, suggerisce la giornalista, la vera lezione da condividere non è quella che si registra, ma quella che si vive, restando accanto ai propri figli anche quando non c'è nulla di bello da vedere. Perché la loro fiducia vale più di qualsiasi like.