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I bambini della casa nel bosco non possono vivere in un mondo senza amici: cos’è il diritto alla socialità

Nelle motivazioni dietro la decisione di allontanare i tre bambini dalla casa nel bosco di Palmoli, i giudici hanno posto l’accento sul rischio che l’isolamento imposto dai genitori possa compromettere il “diritto alla vita di relazione” dei minori.
A cura di Niccolò De Rosa
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La vicenda della famiglia anglo-americana che viveva nei boschi di Palmoli, in Abruzzo, ha riportato al centro del dibattito un tema poco frequentato dal discorso pubblico: il diritto dei bambini alla socialità. Se infatti la decisione del Tribunale per i minorenni dell'Aquila di allontanare i tre figli della coppia continua a far discutere, pochi sembrano considerare quello che secondo i giudici che hanno firmato l'ordinanza rappresenta un punto cruciale della questione.

Oltre alle precarie condizioni abitative rilevate dagli assistenti sociali – come noto, la casa dove la famiglia viveva era priva di acqua corrente, energia elettrica e riscaldamento – a far scattare il trasferimento dei bambini in una struttura protetta (insieme alla madre) è stato il fatto che i minori non andavano a scuola. Questo aspetto è stato aspramente contestato dai critici al provvedimento – tra cui il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini – poiché la legge italiana permette ai genitori di educare da soli i figli (è la cosiddetta educazione parentale). Come si può leggere nelle carte prodotte dal Tribunale, però, la decisione non è stata presa solamente sulla base mancata frequenza scolastica. A risultare decisivo è stata infatti l'isolamento pressoché totale cui i piccoli erano sottoposti. Una condizione che, secondo i togati, comporta un significativo rischio di "lesione del diritto alla vita di relazione" dei bambini. Ecco di cosa si tratta.

Cos'è il diritto alla vita di relazione

Per capire meglio la situazione si può attingere proprio da ciò che è stato scritto nelle motivazioni dietro al temporaneo allontanamento i tre bambini dalla loro casa nel bosco. La pronuncia del Tribunale afferma infatti che il provvedimento non è stato valutato sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione, ma "sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione", diritto che, prosegue il documento viene tutelato dall'Art.2 della nostra Costituzione:

"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".

Il cosiddetto diritto alla socialità viene dunque inteso come l'esigenza di garantire ai bambini la possibilità di un confronto tra pari per consentire loro di conoscere altre realtà, imparare a gestire le proprie emozioni in relazione al prossimo e capire come relazionarsi con il mondo circostante. Privare i minori di questa opportunità – soprattutto nella fascia d'età tra i sei e gli undici anni, considerata decisiva per lo sviluppo della personalità di un individuo – potrebbe invece produrre effetti significativi sullo sviluppo del bambino, che, come scrivono i giudici, "si manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico". E come ricordano tutte le fonti del diritto in materia  – dal nostro ordinamento alla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza – l'interesse dei minori è primario e prevale anche su quello della potestà genitoriale nei casi in cui tale interesse appare in pericolo.

Perché è importante che i bambini frequentino i loro pari

Come attestato dall'ampia letteratura scientifica citata dal Tribunale – dalla teoria dell'apprendimento come prodotto dell'interazione sociale di Lev Vygotskij alle convinzioni teorico-evolutive di Jean Piaget, passando per i lavori di Albert Bandura e Erik Erikson, entrambi sostenitori del ruolo chiave della socialità nello sviluppo dei bambini – la crescita in un contesto separato dal resto della comunità può pertanto compromettere un aspetto cruciale dello sviluppo. Senza la possibilità di interagire con i coetanei, spiegano i giudici, si riduce la capacità di lavorare insieme agli altri, di apprendere attraverso il confronto con altri pari età e di sviluppare soft skills fondamentali come l'autostima e la motivazione all'apprendimento. "Il bambino potrebbe faticare a gestire i conflitti (non avendo imparato a negoziare e a comprendere le diverse prospettive), manifestando comportamenti di isolamento o, al contrario, di aggressività (bullismo)".

È dunque proprio nella frequentazione (non episodica) con altri bambini – che a loro volta sono portatori di altre esperienze, altre caratteristiche, perfino altri valori familiari – che i piccoli sperimentano nuovi ruoli, linguaggi e regole. Tutti elementi che non si possono trovare nel rapporto esclusivo con gli adulti.

L'isolamento imposto come negazione di un bisogno primario

Il diritto alla socialità non riguarda però solo l'ambiente scolastico. Come scritto chiaramente nelle motivazioni, l'isolamento prolungato può infatti compromettere la complessiva integrità emotiva dei minori, rendendoli più fragili, più esposti al rischio di sviluppare sintomi di ansia o depressione e maggiormente  vulnerabili "alla pressione dei pari" una volta entrati in contatto con un gruppo. Ciò avviene perché la mancanza di esperienze di gioco, confronto e gestione del disaccordo priva i bambini di quell'allenamento quotidiano che permette di formare un'identità stabile e di maturare competenze indispensabili alla vita adulta.

Alla luce di queste spiegazioni si può dunque ben comprendere perché il Tribunale abbia voluto sottolineare come i rapporti coetanei al di fuori del nucleo familiare rimangano un elemento imprescindibile della crescita. Privarne i figli in nome di una – pur legittima – filosofia di vita alternativa rischia infatti di ledere proprio quegli interessi che i genitori intendono proteggere. "La deprivazione del confronto tra pari ostacola lo sviluppo delle competenze sociali, emotive e cognitive essenziali, rendendo più difficile l'adattamento del bambino sia nel sistema educativo che nella società in generale", cita l'ordinanza.

Nel caso di Palmoli, i giudici hanno dunque ritenuto che l'isolamento forzato, unito alla mancanza di un percorso educativo verificabile (la documentazione relativa all'Unschooling impartita dai genitori è stata ritenuta lacunosa) configurasse un rischio concreto per lo sviluppo equilibrato dei minori. Il diritto alla socialità, viene infine ricordato, non è pertanto un bene accessorio ma una componente strutturale della crescita: un diritto che,  va sempre tutelato perché consente ai bambini di diventare parte della comunità e, grazie ad essa, di costruire se stessi.

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