Cosa succede se la scuola non insegna più l’affettività ai bambini: la spiegazione dell’esperta

Lo scorso 16 ottobre la Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera ha approvato un emendamento che rende ancora più restrittivo il disegno di legge proposto dal Ministro dell'Istruzione e del merito Giuseppe Valditara sull'educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Oltre alle scuole primarie, il divieto si estende ora anche alle secondarie di primo grado: alle medie, dunque, non si potranno più svolgere attività didattiche sui temi dell'affettività, della sessualità e della consapevolezza corporea. Una decisione che ha suscitato critiche da parte di esperti del mondo medico, pedagogico e psicologico.
Per approfondire il tema, Fanpage.it ha intervistato Carla Tomasini, pediatra e comunicatrice scientifica, che da anni si occupa di divulgazione su salute, prevenzione e sviluppo dei bambini e degli adolescenti.
"Quando parliamo di educazione sessuale affettiva intendiamo una educazione che può essere essere svolta sia dalla famiglia, e in questi casi parliamo di educazione informale, sia da attori esterni che possono essere educatori, insegnanti, specialisti in ambito sanitario o che si occupano di questo tema, e questa si chiama formale", chiarisce l'esperta. "È importante fare questa distinzione poiché entrambe concorrono alla formazione dei futuri adulti, ma secondo modalità differenti e trasversali sulle diverse fasce di età. Va da sé che escludere la scuola da questo processo rimane qualcosa di profondamente sbagliato e dannoso per la salute".
Dottoressa Tomasini, lei ha recentemente denunciato sui social l'ipersessualizzazione dell’infanzia: nei negozi si trovano costumi e bikini attillati anche per bambine di cinque anni. Eppure, in una società sempre più sessualizzata, chi decide sulla scuola italiana sceglie di non parlare di questi temi. È un paradosso?
Assolutamente sì, ed è un paradosso pericoloso. Viviamo in un contesto in cui i bambini sono esposti sempre più precocemente a contenuti e modelli sessualizzati, ma allo stesso tempo si sceglie di non dare loro strumenti per riconoscerli e interpretarli. La legge appena approvata è dannosa perché si fonda su un'idea completamente distorta di educazione sessuale e affettiva. Chi l’ha scritta, purtroppo, dimostra una grande ignoranza sull'argomento. L'educazione affettiva non ha nulla a che fare con l'insegnamento dell'atto sessuale o con presunte ideologie gender. È un percorso educativo che serve a far conoscere il proprio corpo, a comprendere i confini personali e quelli dell'altro, a sviluppare rispetto e consapevolezza. Parliamo di salute pubblica, non di opinioni. Le evidenze scientifiche – dalle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità alle posizioni della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica (FISS) – lo dicono chiaramente: si tratta di un diritto educativo dei bambini e di una forma di prevenzione.

Perché, secondo lei, è importante iniziare a parlare di amore e affettività fin da piccoli?
L'educazione sessuale e affettiva non inizia con la pubertà, ma si inizia fin dalla primissima infanzia. Non lo dico io, ma la stessa OMS che stabiliscono per ogni fascia d'età specifici obiettivi di apprendimento per ciò che compete la sfera affettiva e sessuale. Nei primi anni di vita si tratta semplicemente di imparare a nominare le parti del corpo, distinguere tra parti private e non private, comprendere l'igiene e il rispetto del proprio corpo. I genitori, spesso senza rendersene conto, svolgono già una parte di questo lavoro. Quando poi i bambini crescono e iniziano a porsi domande più complesse – "Come nasce un bambino?", "Cos'è la pubertà?" – le risposte di svolgono con un linguaggio adeguato per ogni fascia di età, via via riprendendo questi temi con la crescita e trattandoli in modo adeguato, affinando le conoscenze fino a trattarli anche in modo tecnico. Le risposte devono arrivare da adulti di riferimento che sono inizialmente i genitori, ma pian piano anche educatori e professionisti della salute.
Non si potrebbe dunque aspettare che i ragazzi siano più maturi, come sembra suggerire l'intento dell'emendamento?
Sarebbe già tardi. Durante la preadolescenza, ossia proprio il periodo delle scuole medie, il ruolo della scuola diventa cruciale poiché è momento in cui i ragazzi cominciano ad allontanarsi dai genitori perché il percepiscono come troppo vicini e potrebbero preferire anche altre figure di riferimento con cui confidarsi, talvolta i compagni, talvolta gli educatori. In quell'età, un educatore o un insegnante debitamente preparato può dunque risultare più efficace degli stessi genitori nel rispondere a domande delicate e nel fornire strumenti di conoscenza e protezione.
Alcuni politici hanno sostenuto che non serva parlare di sessualità, ma che basti insegnare ai ragazzi empatia e rispetto. Cosa ne pensa?
È una semplificazione fuorviante. Certo che l'educazione affettiva parla anche di empatia e rispetto, ma è molto di più. Serve a conoscere il proprio corpo, capire la diversità e accettarla, comprendere i confini personali e imparare concetti fondamentali come il consenso, un insegnamento quanto mai prioritario in una società dove i casi di violenza sono ancora all'ordine del giorno. Limitarsi a "insegnare il rispetto" è come voler costruire un palazzo partendo dal tetto: mancano le fondamenta. Le linee guida internazionali, lo ripeto, stabiliscono obiettivi chiari per ogni fascia d'età. Alla fine delle medie, ad esempio, i ragazzi dovrebbero avere già acquisito conoscenze di base su concetti come il menarca, il ciclo mestruale, i metodi anticoncezionali, le malattie sessualmente trasmissibili e il vaccino HPV. Sono temi di salute pubblica che, se non vengono affrontati in famiglia – e spesso non lo sono – devono trovare spazio a la scuola per colmare quel vuoto.

Se è vero che i genitori sono i primi educatori e saranno sempre i protagonisti dell'educazione dei propri figli, è anche vero che non tutte le famiglie garantisco le stesse opportunità ai ragazzi, ci sono famiglie dove vigono tabù, dove purtroppo i figli sono testimoni di violenze, dove l'educazione sessuale e affettiva non verrà mai trattata e noi dobbiamo garantire che tutti abbiano accesso a riceverla, soprattutto chi ne ha più bisogno. Realizzarla a scuola è un principio di equità: nessuno sarà escluso.
Quali rischi comporta lasciare che i ragazzi cerchino da soli le risposte a questi temi?
Il rischio è enorme. Quando si nega l'educazione affettiva e sessuale, si spingono i ragazzi a cercare informazioni altrove, spesso online, dove possono incontrare contenuti che mostrano una sessualità distorta e di predominio maschile come quelli pornografici o addirittura siti pericolosi di adescamento. Invece di proteggerli, li si espone di più. Parliamo di prevenzione: prevenzione delle gravidanze indesiderate, delle infezioni sessualmente trasmissibili, ma anche della violenza e dell'abuso. Un bambino che conosce il proprio corpo e conosce il concetto di consenso ha più strumenti per riconoscere un comportamento inappropriato e chiedere aiuto. Ecco perché l'educazione sessuale affettiva non è un lusso o un'opzione culturale, ma un atto di tutela. Togliere questa opportunità significa togliere ai bambini e agli adolescenti una parte della loro salute, ma anche del loro diritto all'educazione.
In sintesi, cosa stiamo perdendo con questa legge?
Stiamo privando i ragazzi di un diritto. Il diritto a una formazione che li aiuti a diventare adulti consapevoli, rispettosi e in grado di proteggersi. Secondo OMS e FISS, l'educazione sessuale dovrebbe essere una materia obbligatoria, insegnata da personale qualificato secondo le evidenze scientifiche, non limitato e influenzato da ideologie politiche. Vietarla alle scuole medie significa fare un passo indietro di decenni e mettere a rischio una generazione intera. Perché non si tratta di ideologia: si tratta di scienza, salute e diritti per l'intera società.