Cosa significa doversi prendere cura fin dall’infanzia di un genitore malato? Le sfide dei giovani caregiver

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Prendersi cura. Quando si usano queste due parole è più semplice che alla mente compaia l'immagine di una mamma o un papà che si occupano del proprio bambino. In realtà, tra le tante persone che nel nostro Paese si prendono cura di un membro della famiglia malato, vi sono i giovani caregiver, chiamati in letteratura Young Carers. Sono il 6% della popolazione, infatti dall'ultima rilevazione effettuata dall'ISTAT nel 2023, si contavano 391.000 giovani in Italia dediti al lavoro di cura già tra i 15 e i 24 anni.
La professoressa associata di sociologia presso l'Università Cattolica di Milano, Maria Letizia Bosoni, che ha condotto diversi studi sul tema, ha spiegato a Fanpage.it chi sono e quali sfide vivono coloro che fin dall'infanzia sono divisi tra il desiderio di spiccare il volo dalle mura di casa e il senso di colpa che li pervaderebbe se non fossero loro ad occuparsi dei propri genitori.

Professoressa, di chi parliamo quando nominiamo i giovani caregiver?
In letteratura vengono chiamati gli young carers e si tratta di coloro che tra i 18 e i 25 anni, anche se le ricerche poi si spingono fino ai 35 anni, si occupano, svolgendo la funzione di caregiver, di un familiare che tendenzialmente è un genitore, ma potrebbe essere anche un fratello o una sorella malata, un parente anziano o un figlio, avuto in giovane età, con una malattia rara. La specificità della loro età è molto importante perché si trovano nel periodo della vita di transizione verso l'età adulta. Tuttavia, dalle nostre ricerche sul tema emerge chiaramente che la maggior parte di loro inizia a prendersi cura della persona cara malata, fin da piccolissimo.
In che modo i bambini si prendono cura dei loro genitori malati?
Dallo studio che abbiamo svolto nel 2023, intervistando 14 giovani caregiver, è emerso che questi avevano iniziato a prendersi cura dei propri genitori da piccolissimi, svolgendo delle attività che loro non si rendevano conto non essere consone alla loro età. La più comune era quella di andare in farmacia a comprare delle medicine per i propri genitori affetti per esempio da una malattia psichiatrica, oppure, per i figli di genitori stranieri, di accompagnare i propri genitori alle visite mediche, fungendo da mediatori linguistici. Alcuni andavano fin da piccoli a fare la spesa oppure cucinavano i pasti per i propri genitori o si occupavano dei propri fratelli minori, andandoli a prendere a scuola o portandoli dal medico. Altri ancora erano semplicemente presenti in casa quando il genitore aveva degli attacchi della propria malattia o psicosi, c'è chi ricorda di aver visto la mamma pettinarsi i capelli all'infinito. Tutti però hanno visto aumentare la consapevolezza del fatto che non stessero svolgendo un'attività adatta a loro, molto tempo dopo.
Sono giovani caregiver anche coloro che si occupano di figli malati?
Certo, coloro che hanno per esempio figli affetti da malattie rare o da disabilità, i quali hanno bisogno della loro presenza costante. In questi nuclei familiari succede dunque che uno dei genitori, generalmente la madre, non lavora per prendersi cura del figlio. Si tratta di esperienze particolarmente intense, dal momento che spesso per questi bambini non esiste una cura o conoscenze mediche in grado di aiutarli.
Questi giovani caregiver si sentono aiutati da amici o parenti?
L'aspetto del capitale sociale, ossia delle reti che si creano o non si creano attorno ai giovani caregiver è stato analizzato da noi in un secondo studio, risalente alla seconda metà del 2024. Si è trattato di interviste diadiche alle quali hanno partecipato sia i giovani caregiver che una persona di supporto individuata da loro. Si è trattato tendenzialmente del partner, di un familiare con il quale condividevano il lavoro di cura (generalmente l'altro genitore) ma nelle loro reti hanno indicato anche amici o colleghi. In questo caso si trattava di persone che non supportavano il giovane caregiver nel lavoro di cura, ma fungevano da supporto morale e psicologico. Soprattutto parlando dei colleghi, per i caregiver è importante lavorare in un ambiente che sia flessibile e comprensivo nei suoi confronti.
Ma questi giovani caregiver, proprio per la fascia d'età in cui si trovano, non rischiano invece di rimanere isolati dal contesto sociale?
Sì certo, nella nostra prima ricerca, svolta nel 2023, il tema dell'isolamento sociale era emerso. Nella seconda ricerca è comparso il ruolo di amici e colleghi, è vero, che però ricordiamo non svolgono il lavoro di cura al posto del caregiver, lo supportano psicologicamente ed emotivamente, cercando di confortarlo, svolgendo quindi una funzione di cuscinetto importante dall'isolamento che queste persone vivono.
Quali sono le sfide che questi ragazzi vivono fin da giovanissimi, rispetto ai coetanei?
La prima grande sfida è sicuramente la costruzione di una vita adulta e autonoma. Abbiamo capito che i nostri intervistati vivevano una costante tensione tra il desiderio di creare una famiglia propria, con dei figli o investire nella carriera e la necessità percepita anche come obbligo di prendersi cura di un familiare malato. Perché non riuscire a staccarsi dal proprio nucleo familiare, anche psicologicamente, non permette di investire sulla propria vita di coppia. Un'altra tensione che abbiamo intercettato, ma che è presente in tutte le relazioni di cura è quella che si instaura tra obbligo e riconoscenza, i giovani caregiver percepiscono sia come un obbligo il doversi prendere cura del parente malato, che come segno di riconoscenza per la cura che hanno ricevuto a loro volta e che li porta a pensare che di quella persona si devono occupare loro e nessun altro. In ultimo, non per importanza, una grossa sfida che vivono è la conciliazione tra il carico di cura e il lavoro, si parla spesso della difficoltà delle donne, una volta madri, a gestire lavoro e genitorialità, problema che esiste, e si trascurano però le stesse problematicità vissute dai giovani caregiver in una società che cambia e invecchia. Ad oggi le esigenze di cura non sono solo dei genitori verso i propri figli, ma anche viceversa.
Dunque tra gli aspetti negativi annovererei anche la mancanza di supporto istituzionale, di servizi, un welfare non accessibile e la mancanza di tutte quelle informazioni che i caregiver fin da giovanissimi devono trovare da soli.
Invece esistono dei punti di forza che i caregiver riconoscono essere nati proprio da questo loro doversi precocemente prendere cura di qualcun altro?
Dalle nostre ricerche emerge che queste persone nel tempo sono diventate molto consapevoli della loro salute mentale e della loro condizione, sanno qual è il loro livello di bornout, si riconoscono stanchi, stressati e appesantiti, da una situazione che non può migliorare ma peggiorare. Sviluppano però grande riflessività e resilienza, riescono ad attivare molte risorse personali e relazionali, necessarie a trovare informazioni o chiederle, molti di loro dicono di aver imparato ad organizzare e di aver sviluppato capacità di problem-solving. Tanti di loro si danno poi a professioni di tipo sociale, e affermano di aver sviluppato la propria empatia nei confronti delle persone, capiscono gli stati emotivi degli altri e i loro vissuti, riescono a intercettarne precocemente i bisogni. Si tratta di tutte competenze sociali che favoriscono la socialità.