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Cosa fare se mio figlio dice le parolacce: i consigli dell’esperta per farlo smettere

Capita spesso che i bambini dicano o ripetano parolacce, scatenando reazioni diverse negli adulti. Ma come comportarsi? Anna Granata, psicologa e docente di pedagogia all’Università Milano-Bicocca, spiega le cause del fenomeno e offre consigli utili per affrontarlo con equilibrio e senza inutili repressioni.
Intervista a Anna Granata
Professoressa associata di Pedagogia all'Università di Milano Bicocca
A cura di Niccolò De Rosa
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C’è un momento, nella crescita dei figli, in cui i genitori si trovano spiazzati: è quello in cui i bambini iniziano a dire parolacce. Una fase che può suscitare imbarazzo, preoccupazione o persino ilarità, ma che spesso solleva interrogativi educativi complessi. Perché un bambino usa parole volgari? Quando comincia a farlo? E come dovrebbero reagire i genitori? Le cause possono ovviamente essere molteplici e spesso i bambini assorbono certi modi di esprimersi come parte del contesto comunicativo in cui vivono in ciò che sentono attorno a loro. Tuttavia l'imitazione non è l'unico motivo per cui un bambino o un ragazzo comincia a ricorrere a un linguaggio scurrile. Benché socialmente" sconvenienti" parolacce possono infatti rivelarsi un efficace valvola di sfogo e pertanto la repressione – urla, castighi, punizioni – non risulta il modo più efficace per invitare i figli a utilizzare parole meno colorite.

"In determinate situazioni, il detto ‘quando ci vuole, ci vuole', può celare un inaspettato valore educativo", ha dichiarato Anna Granata, psicologa e docente di pedagogia all’Università Milano-Bicocca, che a Fanpage.it ha offerto alcune indicazioni su come intervenire sul linguaggio dei bambini senza operare inutili repressioni, trasformando simili inconvenienti in preziose occasioni di crescita.

Perché i bambini dicono le parolacce

Le parolacce, nel linguaggio infantile, non sono mai un episodio casuale. "Il linguaggio si apprende in modo culturale, all’interno di relazioni. I bambini ripetono le parole che sentono, anche se all'inizio non ne conoscono il significato", spiega la professoressa Granata. La parolaccia è infatti quasi sempre il riflesso di ciò che il bambino ascolta in casa, a scuola, o nei media.

All'inizio i bambini dicono le parolacce per imitare gli adulti, ma con gli anni alcune esclamazioni colorite possono diventare un veicolo di emozioni come rabbia e frustrazione.
All'inizio i bambini dicono le parolacce per imitare gli adulti, ma con gli anni alcune esclamazioni colorite possono diventare un veicolo di emozioni come rabbia e frustrazione.

Con il passare degli anni, però, bambini e ragazzi sviluppano una maggiore familiarità con le diverse forme di comunicazione a loro disposizione. Lo spirito d’imitazione – che li porta a ripetere ciò che sentono in famiglia, nelle canzoni o nei video online – lascia gradualmente spazio a esigenze espressive più complesse e consapevoli. "Le parolacce hanno una potente forza comunicativa – osserva Granata – e possono essere veicolo di emozioni come rabbia, indignazione, frustrazione. Le neuroscienze lo confermano: c’è un effetto liberatorio legato al pronunciarle".

Il compito educativo, allora, non è soltanto vietare, ma aiutare il bambino a comprendere il significato e il potenziale impatto delle parole che usa. Soprattutto quando queste possono trasformarsi in insulti o espressioni aggressive: "È pertanto fondamentale – continua l'esperta – spiegare con parole adeguate all’età il significato dei termini e il loro effetto sugli altri".

A quanti anni il bambino potrebbe iniziare a dire parolacce

Il primo incontro con le parolacce avviene spesso in età prescolare, tra i 2 e i 5 anni. Ma, in questa fase, i bambini le ripetono senza comprenderne davvero il senso. "C’è inconsapevolezza – spiega Granata – e a volte anche un certo stupore nell’osservare la reazione che provocano negli adulti". Crescendo, però, il rapporto con le parolacce cambia.

Anna Granata, Professoressa associata di Pedagogia all'Università di Milano Bicocca.
Anna Granata, Professoressa associata di Pedagogia all'Università di Milano Bicocca.

Durante l’età scolare e soprattutto nella preadolescenza, i bambini iniziano a comprendere pienamente il significato delle parole e le usano con maggiore disinvoltura, spesso per inserirsi in un gruppo o per esprimere con forza la propria opinione o il proprio disagio. "È interessante notare una differenza di genere – aggiunge l’esperta – i maschi tendono a utilizzare più spesso un linguaggio colorito per esprimere emozioni, mentre le bambine sono spesso educate a contenere la rabbia, con un effetto di autocensura che non è affatto positivo per una società che vuole liberare tutte le sfumature delle emozioni in entrambi i genri".

Nell’adolescenza, infine, l’uso delle parolacce può farsi più consapevole e, in alcuni casi, degenerare in linguaggio offensivo, soprattutto sui social. "È in questa fase che il rischio maggiore diventa il linguaggio d’odio – ammonisce Granata – per questo bisogna lavorare non solo sul significato delle parole, ma anche sull’impatto che queste parole hanno in un contesto, digitale o reale che sia".

Come comportarsi: quando vale la pena rimproverare il bambino

Punire il bambino che dice una parolaccia non è sempre la scelta più educativa. La risposta dell’adulto, secondo Granata, dovrebbe infatti tenere conto dell’età e del contesto. "Se si tratta di un bambino piccolo che ripete una parola sentita altrove, la priorità è spiegare, non sanzionare. L’obiettivo deve essere far capire il senso e le implicazioni della parola".

Punire o sgridare energicamente il bambino spesso non comporta i risultati desiderati.
Punire o sgridare energicamente il bambino spesso non comporta i risultati desiderati.

Diverso è il caso dell’adolescente che utilizza il turpiloquio per insultare o escludere. In questi casi, chiarisce la pedagogista, è necessario intervenire con fermezza, senza scandalizzarsi – simili reazioni potrebbero ottenere reazioni contrarie a quelle desiderate, fomentando uno spirito di ribellione – ed educando a un uso consapevole e rispettoso del linguaggio. E il rimprovero, tuttavia, non deve necessariamente tradursi in repressione. "Le punizioni fini a sé stesse – osserva Granata – non hanno un grande valore educativo. Spesso, anzi, portano il ragazzo a evitare certi comportamenti solo in presenza dei genitori, ma non a riflettere davvero su ciò che dice e fa". Piuttosto, la chiave è creare uno spazio di dialogo, in cui adulti e ragazzi possano confrontarsi sul senso e il peso delle parole. E questo vale a ogni età.

I 4 consigli per far smettere di dire parolacce al proprio figlio

Benché le parolacce non siano quel "demonio" cui siamo abituati a pensare, mamme e papà hanno comunque a disposizione alcuni strumenti efficaci per far sì che i figli imparino a modulare i loro linguaggi e le loro reazioni per non comportarsi da maleducati e, soprattutto, evitare di offendere il prossimo.

  1. Fornire il significato delle parole: Quando il bambino pronuncia una parolaccia, il primo passo è spiegare con calma che cosa significa e perché può risultare offensiva. «Dobbiamo usare parole adeguate all’età – ribadisce Granata – e aiutare i bambini a comprendere il valore del linguaggio».
  2. Dare l’esempio: "Curare il nostro linguaggio è essenziale", afferma la docente. I bambini apprendono soprattutto osservando. Se l’adulto usa frequentemente le parolacce, anche solo in momenti di rabbia, tenderanno a imitarlo.
  3. Non reprimere, ma riflettere insieme: Un approccio rigido e punitivo rischia di generare chiusura. È più efficace costruire un momento di riflessione condivisa. Granata cita l’esempio di un’insegnante che, di fronte a una classe in cui le parolacce erano la norma, ha avviato un lavoro educativo sul significato e sull’origine di quelle parole. "Un modo per non scandalizzarsi, ma ragionare insieme su come usiamo il linguaggio".
  4. Educare a un linguaggio rispettoso: L’obiettivo non è solo evitare le parolacce, ma promuovere uno stile comunicativo che rispetti l’altro. "Le parole non sono mai neutre – conclude Granata – e i bambini respirano il nostro modo di stare al mondo. Un linguaggio rispettoso è il frutto di un’educazione quotidiana che passa anche attraverso l’esempio e le relazioni".
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