Cosa fare se mio figlio assume comportamenti violenti: come spiegargli che è sbagliato

Insulti, prese in giro e spintoni, ma anche pettegolezzi, isolamento mirato, e comportamenti persecutori online. I comportamenti violenti nei bambini e nei ragazzi non si manifestano tutti nello stesso modo e non appartengono a una sola fascia d'età. Possono iniziare già da piccoli, con azioni che spesso gli adulti liquidano come semplici "ragazzate", ma che col tempo possono trasformarsi in dinamiche – e conseguenze – più gravi e difficili da gestire. Anche in contesti familiari sereni, dove non mancano affetto e attenzioni, un figlio può assumere atteggiamenti vessatori verso un compagno. Lo ha ricordato a Fanpage.it Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e docente universitario, che da anni studia i rischi legati al digitale e i comportamenti adolescenziali: "Non possiamo illuderci che la violenza nasca solo nelle famiglie difficili. Anche un ragazzo ‘perbene', in determinate condizioni, può trasformarsi in un bullo".
D'altronde, la cronaca quotidiana e i social raccontano spesso episodi di questo tipo. Come la testimonianza condivisa da Lorenzo Traversari, giovane divulgatore attivo su TikTok e impegnato nel volontariato con bambini e ragazzi disabili. In un video diventato virale ha letto il messaggio di una madre: il figlio adolescente era stato bocciato per aver bullizzato un compagno con sindrome di Down. Un episodio che aveva lasciato la donna sgomenta e piena di vergogna. Qualche tempo dopo, però, lo stesso ragazzo ha iniziato a frequentare un centro di volontariato per l'aiuto a ragazzi disabili, tra cui proprio il compagno deriso. Da quell’esperienza è così nata un’amicizia autentica, un segnale che anche dietro gli errori più gravi può esserci spazio per un cambiamento.
Perché mio figlio assume comportamenti violenti
Secondo Lavenia, alla base della violenza non c’è solo la provenienza sociale o familiare. L’adolescenza è un passaggio delicato, in cui il bisogno di sentirsi parte di un gruppo prevale spesso sulla coscienza individuale. "Se gli amici ridono e approvano, quel bisogno di appartenenza diventa più forte di qualsiasi altra cosa. Così anche un ragazzo cresciuto in una famiglia serena può finire per colpire un compagno più fragile", spiega lo psicologo.

Un altro fattore può essere l'incapacità di accettare limiti e frustrazioni. "Molti ragazzi oggi faticano a reggere un no o una differenza. Quando si trovano davanti qualcuno più debole o diverso, può scattare la tentazione di ridicolizzarlo, come se la forza si misurasse sullo sminuire l’altro", aggiunge l’esperto. A tutto questo si sommano poi i modelli culturali, non sempre edificanti, che tra social network, trasmissioni televisive, e gli stessi commenti degli adulti normalizzano, direttamente o indirettamente, lo scherno. "Questi sono messaggi che sedimentano e che i ragazzi replicano. Per questo non possiamo mai sentirci al riparo: la violenza può nascere anche in casa nostra, proprio quando abbassiamo la guardia".
I comportamenti violenti più frequenti nei bambini e ragazzi
Le forme di violenza variano con l'età, ma hanno un comune denominatore: il bisogno di sopraffare o escludere. Nei bambini piccoli prevalgono i gesti fisici – spintoni, insulti, esclusioni dal gioco – che spesso vengono sottovalutati. In preadolescenza emergono invece le aggressioni relazionali: pettegolezzi, strategie di isolamento, dinamiche di gruppo che feriscono chi viene escluso. Oggi però, gran parte della violenza passa anche per i canali digitali. Chat di classe trasformate in strumenti di derisione, foto e video umilianti condivisi, gruppi online in cui un ragazzo diventa il bersaglio delle risate. "È una violenza invisibile agli occhi degli adulti, ma devastante per chi la subisce", sottolinea Lavenia. Ancora più gravi sono poi i comportamenti che colpiscono compagni con disabilità, con imitazioni offensive, sottrazione di oggetti o ausili, o perfino"sfide" pensate per metterli in difficoltà e sottolineare la loro diversità. "Non sono giochi, non sono scherzi: sono vere forme di violenza che lasciano segni profondi".

Come far capire a mio figlio che i comportamenti violenti sono sbagliati
Quando un genitore scopre che il figlio ha fatto del male a un compagno, la prima reazione è spesso la punizione: togliere il cellulare, vietare le uscite, imporre sanzioni. "La punizione può servire a fermare subito il comportamento, ma da sola non basta", avverte Lavenia. "Insegna a temere l’autorità, non a rispettare l'altro".
Il passo decisivo deve dunque essere quello di aiutare i ragazzi a comprendere l’impatto delle loro azioni. "Bisogna chiamare le cose con il loro nome e spiegare che quello che si è fatto è pura violenza. Non minimizzare con un ‘era solo uno scherzo' e nemmeno etichettare con un ‘sei cattivo'. Si condanna l’atto, non la persona", chiarisce lo psicoterapeuta. Fondamentale è lavorare sull’empatia, invitando il figlio a mettersi nei panni della vittima: "Come ti saresti sentito tu al suo posto?".
Accanto a questo, servono però conseguenze educative di tipo riparativo, pretendendo scuse autentiche, gesti concreti di aiuto e, perché no attività di volontariato guidato. "Non devono essere vissute come espiazioni forzate, ma come occasioni per restituire qualcosa. È così che un errore diventa possibilità di crescita". Infine, Lavenia ricorda come il ruolo degli adulti non sia accessorio, ma decisivo. Imparare a dire no senza urlare, restare accanto al figlio anche di fronte alla sua rabbia, non banalizzare mai con frasi come "sono cose da ragazzi". Perché dietro ogni "ragazzata" c’è un compagno che soffre. "La vera lezione educativa – conclude Lavenia – è trasformare un errore in un’occasione di costruzione, non di distruzione. E questo è possibile solo se l’adulto sa reggere la fatica di restare presente, anche quando è scomodo".