Cosa fare se a un genitore non piacciono gli amici del figlio? I consigli della psicologa: “Imporsi non serve”

Trovarsi a nutrire qualche perplessità nei confronti degli amici dei propri figli è una sensazione spiacevole ma che molti genitori hanno provato e continuano a sperimentare. A volte la causa di tale fastidio non è facilmente riconoscibile: può essere il tono di voce, un atteggiamento troppo invadente o semplicemente modi poco educati. Sta di fatto che quell'amico o quell'amica proprio non ci va a genio. Una sensazione sottile, difficile da spiegare ma impossibile da ignorare. Come affrontarla senza interferire nella crescita e nella libertà di scelta dei figli? A rispondere è Rachael Murrihy, direttrice del Kidman Center dell’Università di Tecnologia di Sydney, che in un recente articolo pubblicato sul sito The Conversation ha offerto una sorta di guida pratica per orientarsi tra il desiderio di proteggere i ragazzi, tipico di ogni mamma e papà, e la necessità di rispettare l’autonomia dei figli per non trasformarsi in genitori elicottero.
L’istinto protettivo (e il rischio di esagerare)
Quando un genitore ha la sensazione che il proprio figlio sia maltrattato o influenzato negativamente da un coetaneo, scatta un naturale istinto protettivo. Questa reazione, spiega Murrihy, può attivare la risposta fight or flight, cioè quell'istino di "attacco o fuga" sviluppato dall'essere umano in millenni di evoluzione e che porta i genitori a criticare apertamente l’amico o a vietare l’amicizia. Tuttavia, soprattutto nel caso degli adolescenti, questo approccio può avere effetti opposti: gli adolescenti, infatti, sono biologicamente predisposti a mettere in discussione l’autorità genitoriale. Un intervento diretto e autoritario rischia di rinforzare il legame con l’amico “scomodo”, generando un indesiderato (e indesiderabile) effetto boomerang.

Con i più piccoli: regole semplici e riflessione personale
Nel caso dei bambini più piccoli, è più facile stabilire regole chiare e immediate. Se un bambino durante una visita salta sul divano o parla in modo sgarbato, il genitore può semplicemente ricordare con modi gentili ma fermi che in quella casa certi comportamenti non si possono tollerare. È utile anche definire confini fisici – ad esempio stabilendo che la camera da letto non è un luogo di gioco – o spostare i momenti di socialità all’aperto, se la situazione lo richiede.
Ma è altrettanto importante fermarsi a riflettere se il fastidio provato verso un bambino possa nascere da pregiudizi o da aspettative personali. A tal proposito, la stessa Murrihy ha ricordato che gli amici dei figli non devono necessariamente essere quelli che l'adulto sceglierebbe per se stesso. Il punto di vista adulto va dunque bilanciato con l’autonomia del bambino, e l’obiettivo non è selezionare le sue amicizie, ma guidarlo a vivere le relazioni in modo sano.

Per gli adolescenti: meno controllo, più ascolto
Il discorso si fa ancora più complesso se le amicizie sgradite arrivano durante l’adolescenza, una fase cruciale per la costruzione dell’identità di un giovane. Imparare a scegliere gli amici, a gestire i conflitti e a capire cosa si cerca (e cosa no) in una relazione fa parte della crescita. Intervenire in modo diretto nelle amicizie rischia di indebolire il senso di autonomia dei ragazzi.
A supporto di questa visione, Murrihy ha anche richiamato gli studi della psicologa Diana Baumrind degli anni Sessanta: secondo le sue ricerche, uno stile genitoriale autoritario – basato su regole rigide e poco ascolto – genera giovani meno sicuri di sé. Al contrario, un approccio autorevole, che unisce regole e dialogo, favorisce l’indipendenza. Anche il divieto assoluto, ammonisce Murrihy, può trasformarsi in un problema. È il cosiddetto "effetto Romeo e Giulietta": più forte è il divieto, maggiore diventa l’attrazione verso la cosa proibita. È dunque preferibile adottare una strategia basata sulla fiducia e sulla disponibilità all’ascolto.
Come parlarne: l’arte del dialogo
Creare uno spazio di dialogo è il modo più efficace per accompagnare i figli nella gestione delle amicizie. Con i bambini piccoli si può iniziare con domande semplici, in momenti di tranquillità: "Cosa puoi dire se non vuoi più giocare a quel gioco?" oppure "Come ti fa sentire quando è troppo insistente?". Con gli adolescenti, invece, è meglio aspettare che siano loro ad aprirsi, evitando interrogatori. Domande come "Cosa vi piace fare insieme?" o "In cosa siete simili?" possono stimolare la conversazione in modo naturale e non giudicante. Se il ragazzo o la ragazza mostra disagio, l’importante è non minimizzare né cercare soluzioni immediate. A volte, ascoltare senza giudicare è il gesto più utile che un genitore possa fare.
Quando è necessario intervenire
Esiste però un’eccezione fondamentale: la sicurezza. Se l’amico in questione esercita pressioni, mette in atto comportamenti violenti o offensivi, o se si configura una situazione di bullismo o abuso, l’intervento diretto dei genitori diventa necessario, anche contro la volontà del figlio. In questi casi, coinvolgere la scuola o figure competenti è un dovere.
Infine, è bene ricordare che le amicizie – specialmente in età evolutiva – non sono fisse. I bambini e i ragazzi cambiano, crescono, maturano. Molti legami che oggi sembrano fondamentali, domani potrebbero sciogliersi naturalmente. Il compito del genitore non è scegliere al posto dei figli, ma aiutarli a capire, a valutare e – quando serve – a ripensare le loro relazioni.