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Come scegliere il nome dei bambini senza farsi condizionare: “Proteggersi dalle interferenze”

In Italia, la scelta del nome di un figlio è spesso segnata da pressioni familiari e tradizioni radicate. Un gesto che dovrebbe essere intimo e libero si trasforma così in un campo di tensioni, soprattutto per le madri. La psicanalista Cristina Riva Crugnola, docente di Psicologia all’Università degli Studi di Milano Bicocca, ha spiegato perché proteggere questo momento dalle aspettative altrui può essere importante per tutela l’autonomia e la dimensione intima della nuova famiglia che si sta creando.
A cura di Niccolò De Rosa
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Scegliere il nome di un figlio dovrebbe essere un gesto carico di significato e libertà, un momento intimo in cui una madre e un padre iniziano a immaginare la persona che sta per arrivare. Eppure, in Italia più che altrove, questo gesto si trasforma spesso in un campo di tensioni familiari, condizionato da tradizioni, aspettative e dinamiche che risalgono a molto prima della gravidanza stessa.

Nel nostro Paese la pratica di dare ai figli i nomi dei nonni o dei cari scomparsi è infatti ancora largamente diffusa. In molte famiglie, soprattutto nelle regioni del Sud, questa abitudine è vissuta come una forma di rispetto e continuità. Ma ciò che per qualcuno rappresenta un tributo, per altri può diventare una costrizione. Contattata da Fanpage.it, la professoressa Cristina Riva Crugnola, psicoanalista e docente di Psicologia Università di Milano-Bicocca, ha evidenziato come il momento della gravidanza, già di per sé delicato, venga spesso appesantito da "interferenze dei parenti", richieste esplicite o sottili pressioni che si manifestano con la domanda, solo in apparenza innocua: "Che nome darete al bambino?". In realtà, dietro questo interrogativo si nascondono desideri altrui, fantasie proiettate sul nuovo nato, che rischiano di sovrapporsi a quelle dei genitori.

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"La gravidanza – ha spiegato la docente – è un momento di riorganizzazione psichica profonda, soprattutto per la futura madre, che inizia a fantasticare, a costruire mentalmente l’identità del proprio bambino". In questa fase così sensibile, sarebbe importante che la coppia riuscisse a difendersi da influenze esterne, per preservare la propria autonomia decisionale. Il nome, infatti, non è soltanto un’etichetta, ma il primo gesto simbolico attraverso cui un genitore racconta il legame che intende costruire con il figlio. Se imposto o dettato da aspettative familiari, rischia di riflettere identità non scelte, pesi emotivi non propri.

Quando la scelta diventa un terreno di conflitto

Il momento della scelta del nome può diventare spia di tensioni familiari più profonde. Non è raro che, dietro un’apparente divergenza sul nome, si nascondano conflitti irrisolti tra le generazioni. "Nei casi in cui esistono contrasti con la figura materna o paterna – ha proseguito Riva Crugnola – la gravidanza può diventare un periodo difficile", in cui emergono fratture e antichi risentimenti. In questo contesto, il nome del nascituro può diventare l’arena su cui si giocano dinamiche di potere, bisogni di riconoscimento o affermazioni d’indipendenza.

Tutelare la libertà della coppia

Come tutelarsi, allora, da queste invasioni emotive? Secondo la psicologa, anche un gesto semplice come quello di non rivelare il nome scelto fino al momento della nascita può rappresentare una forma di protezione. Una strategia che consente alla coppia di prendersi lo spazio necessario per riflettere senza pressioni e, soprattutto, per scegliere in base ai propri desideri. Perché quel nome, prima ancora di essere pronunciato dagli altri, deve risuonare bene nella voce e nel cuore di chi lo userà per la prima volta: i suoi genitori.

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