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“Catturiamo la loro attenzione”: l’esperta spiega come imparare a relazionarsi con un bambino con autismo

Stabilire una connessione autentica con un bambino con un disturbo dello spettro autistico è fondamentale per aiutarlo a sviluppare competenze comunicative e relazionali. Ogni bambino rappresenta però un caso unico e dunque richiede strategie personalizzate. La professoressa Paola Ricciardelli, psicologa e docente dell’Università di Milano-Bicocca, spiega a Fanpage.it come costruire un dialogo rispettoso ed efficace, partendo dall’ascolto e dall’osservazione.
Intervista a Paola Ricciardelli
professoressa associata di Psicologia Generale all’Università degli studi di Milano-Bicocca e direttrice del corso di perfezionamento in Diagnosi e gestione dell’autismo lieve in tarda adolescenza e in età adulta della Bicocca Academy.
A cura di Niccolò De Rosa
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Costruire una comunicazione autentica con un bambino nello spettro autistico è un processo delicato e profondo, che parte dal rispetto dell’unicità dell’altro. Ogni bambino autistico ha caratteristiche, tempi e modalità propri, che è fondamentale conoscere per poter creare un legame affettivo e comunicativo significativo. Lo ha spiegato a Fanpage.it la professoressa Paola Ricciardelli, professoressa associata di Psicologia Generale all’Università degli studi di Milano-Bicocca e direttrice del corso di perfezionamento in Diagnosi e gestione dell’autismo lieve in tarda adolescenza e in età adulta della Bicocca Academy.

Professoressa Ricciardelli, quando un genitore riceve una diagnosi di autismo per il proprio figlio, da dove può iniziare per costruire una relazione autentica?

La diagnosi, spesso precoce, è il primo passo per intervenire tempestivamente. Ma il vero punto di partenza è l’accettazione dell’eterogeneità: non esiste "un bambino autistico", esistono tanti profili diversi. La relazione si costruisce osservando, adattandosi, cercando di entrare nel suo mondo. È importante ad esempio capire cosa attira la sua attenzione, perché molti bambini con un disturbo dello spettro maturano un interesse specifico su qualcosa – un oggetto o, più avanti con l'età, un argomento o un tema particolare – e su di esso concentrano tutte le sue energie. È quindi lì che una mamma o un papà può trovare un aggancio per comunicare.

Esiste un modo "giusto" per comunicare oppure ogni caso è davvero unico?

Ogni bambino è unico, e non esiste una ricetta precisa o una formula universale. Tuttavia, sappiamo che il canale visivo è spesso quello privilegiato: immagini, pittogrammi, oggetti possono diventare strumenti comunicativi potenti. È fondamentale sperimentare, aggiustare il tiro, senza imporsi. Il contatto si costruisce per tentativi, con delicatezza.

Immagine di repertorio
Per stabilire un contatto con un bambino autistico bisogna partire dall’osservazione e trovare il giusto modo di catturare la sua attenzione

Il contatto visivo, le carezze, il tono della voce: come regolarsi su questi aspetti?

Molti bambini autistici sono ipersensibili a livello sensoriale. Un tocco, una luce, un suono possono risultare eccessivi, provocando sovraccarico e chiusura. Il tocco affettivo, come una carezza o un abbraccio ad esempio, non è sempre gradito, pertanto va proposto e mai imposto. Anche il tono di voce deve essere modulato per non irritare o creare disagio nel bambino.

Quali strategie possono aiutare un genitore a entrare nel mondo del proprio figlio?

Osservare dove guarda, con cosa gioca, quali oggetti lo calmano o lo interessano. Posizionarsi faccia a faccia, condividere il suo interesse, mostrarsi sinceramente coinvolti. Questo favorisce l’attenzione e, piano piano, la motivazione a interagire. È utile anche usare un linguaggio concreto, evitando metafore, ironie o doppi sensi: molti bambini autistici interpretano le parole in modo letterale, , dunque è sempre bene comunicare con loro in modo chiaro e diretto, così da evitare ulteriore confusione.

Quali sono gli errori da evitare?

L'errore più comune è aspettarsi una reazione "normale" a stimoli "normali". In realtà, ogni comportamento deve essere letto alla luce di una neurodivergenza, che implica una diversa elaborazione sensoriale e cognitiva. Forzare il contatto, insistere con modalità non adatte, può solo creare frustrazione. È importante anche non colpevolizzarsi: non è responsabilità del genitore se il bambino ha e avrà sempre bisogno di modalità differenti per interagire con il mondo.

Costruire un ponte comunicativo con un bambino o una bambina con autismo richiede pazienza e comprensione, anche nei confronti dello stesso genitore che necessita di tempo per affinare i suoi strumenti comunicativi
Costruire un ponte comunicativo con un bambino o una bambina con autismo richiede pazienza e comprensione, anche nei confronti dello stesso genitore che necessita di tempo per affinare i suoi strumenti comunicativi

Esistono percorsi o strumenti che possono aiutare le famiglie?

Sì, molti. Interventi precoci come l'Early Start Denver Model, basati su evidenze scientifiche, coinvolgono attivamente i genitori e insegnano loro strategie comunicative efficaci. Anche i gruppi di supporto tra famiglie sono preziosi: aiutano a sentirsi meno soli, a condividere esperienze, a riconoscere che le difficoltà non sono colpa di nessuno, ma parte del percorso.

Come può un genitore affrontare la frustrazione quando il contatto sembra difficile o non ricambiato?

Accettando che il bambino ha un proprio modo di essere e che non cambierà. Se una strategia non funziona, si prova un’altra. L’importante è non fissarsi, ma restare flessibili e pazienti. Poi, se la forma di autismo lo consentirà – alcuni livelli dello spettro sono purtroppo più gravi di altri – il figlio potrò anche raggiungere quelle tappe di sviluppo, come appunto parlare e interagire in forma strutturata con gli altri, che segnano la crescita di qualunque bambino. Se però il percorso appare insostenibile, è giusto chiedere aiuto al pediatra, il quale dovrebbe essere anche il professionista che riconosce nel bambino delle caratteristiche proprie dell’autismo, accoglie le preoccupazioni e le osservazioni dei genitori e li indirizza verso la diagnosi e il trattamento. È infatti la prima figura con cui il genitore può interfacciarsi e confrontarsi ed esporre i propri dubbi. Poi, per il supporto vero e proprio, ci si può può rivolgere ai servizi territoriali, alle onlus alle associazioni di genitori. Anche il benessere emotivo del genitore è essenziale per costruire una relazione significativa con il piccolo.

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