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Blocco dei siti porno, lo psicologo Lancini: “Il problema non sono i corpi ma le emozioni”

Tra divieti inefficaci, cultura dell’esposizione e la necessità di un’educazione affettiva che non sia un semplice esercizio didattico, lo psicologo Matteo Lancini ha analizzato con Fanpage.it il complesso rapporto tra i ragazzi e la pornografia.
Intervista a Matteo Lancini
Psicologo e psicoterapeuta, autore e docente di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca
A cura di Niccolò De Rosa
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La stretta dell'Agcom sulla verifica dell’età per accedere ai siti pornografici ha riacceso un dibattito acceso, tra chi considera il provvedimento un passo necessario per proteggere i minori e chi lo giudica poco efficace in un ecosistema digitale dove l’elusione dei divieti è questione di pochi clic. La misura, che probabilmente richiederà ancora qualche mese per essere applicata, richiederà l'uso sistemi certificati per accedere ai contenuti per adulti. Nel confronto pubblico è emersa però una domanda più ampia: cosa può realmente arginare un fenomeno che precede la tecnologia e riguarda il modo in cui la società stessa rappresenta il corpo, l'identità e le emozioni?

Fanpage.it lo ha chiesto a Matteo Lancini, psicoterapeuta, docente di Psicologia all’Università Milano-Bicocca e autore del libro "Chiamami adulto. Come stare in relazione con gli adolescenti". "Un divieto funziona solo se può essere fatto rispettare", ha osservato. "Altrimenti diventa un messaggio ambiguo: gli adulti mostrano di non saper governare ciò che pretendono di controllare". Per Lancini il punto critico non riguarda dunque l'esistenza di regole, ma la loro applicabilità e, soprattutto, la necessità di affiancare a simili misure un'adeguato sforzo educativo. "Il problema di questa società, ancora più grave della pornografia è la pornografizzazione delle emozioni, un fenomeno creato e alimentato da noi adulti e che di fatto ha fatto scomparire la differenza tra il pubblico e il provato".

Professore, costa intende per pornografia delle emozioni?

Oggi tutto quello che un tempo apparteneva alla sfera privata di tutti noi – la cena in famiglia, l'uscita con gli amici, la sera sul divano con il partner – è diventato qualcosa da mostrare al pubblico. Gli stessi genitori che giustamente temono gli effetti della pornografia poi passano l'intera infanzia dei figli a filmarli e a fotografarli poi poi condividere tutto sui social. È naturale che tutto questo abbia conseguenze importantissime sul modo di intendere la crescita delle nuove generazioni.

In che modo questo clima influisce sul modo di intendere le relazioni da parte degli adolescenti?

La vita si è spostata nel mondo digitale e quello che conta è che ci sia sempre qualcuno che veda ciò che stai facendo. Comportamenti come il sexting o l'invio di foto intime, molto diffusi nelle nuove generazioni, non vanno letti solo nella chiave della trasgressione, ma come atti pienamente coerenti con una cultura che insegna che la visibilità è una forma di valore. I ragazzi fanno ciò che gli adulti hanno mostrato: si diventa qualcuno se si è guardati. Non stupisce che la dimensione erotica si intrecci con quella dell'immagine. L'errore è considerare questi gesti come deviazioni, quando sono invece figli della struttura emotiva del nostro tempo.

Si parla molto degli effetti negativi del porno sui minori…

La domanda da porsi è: perché un adolescente passa ore su quei contenuti?  Sicuramente il fatto che ci siano così tanti contenuti espliciti a portata di clic rappresenta una questione da affrontare seriamente, perché si facilita la confusione tra l'affetto, l'amore e il sesso inteso come atto fisico o addirittura come esibizione di sé. Non è però che prima di Internet tutto andasse bene. Che impatto c'era quando qualche decennio fa il ragazzino in difficoltà veniva portato dai genitori a prostitute perché doveva svezzarsi sessualmente? Il rischio è di concentrarsi solo sulla pornografia ed escludere dal discorso l'intero contesto emotivo ed educativo della società nella quale stiamo vivendo. A tal proposito è importante ricordare un dato.

Quale?

I ragazzi di oggi non solo hanno interiorizzato in modo molto più chiaro delle generazioni precedenti il tema del consenso, ma fanno anche molto meno sesso. Più che incontrare il corpo dell’altro, interessa essere visti. La pornografia, dunque, non alimenta questo fenomeno: semplicemente si inserisce in un contesto in cui il desiderio è meno centrale di un tempo. Se l'obiettivo è mostrarsi, allora la relazione reale diventa complessa. È questa trasformazione culturale a incidere davvero sul rapporto tra adolescenti e sessualità.

In questo scenario di fusione tra reale e digitale, quali sono dunque  le responsabilità degli adulti?

Sono enormi. Proteggere non vuol dire blindare, ma rendersi disponibili, essere modello. Gli adulti devono per primi interrogarsi sulla propria esposizione, sul proprio uso del digitale, sulla coerenza tra ciò che chiedono e ciò che fanno. Fosse per me vieterei i social fino agli 80 anni –  e l'ho anche proposto al Senato – ma capisco che il mondo stia andando in un'altra direzione. Il punto è cominciare ad affrontare il problema nella sua complessità. Solo così il tema della pornografia potrà uscire dalla logica dell’emergenza e tornare a essere ciò che è: una questione educativa e relazionale.

Matteo Lancini
Matteo Lancini

Che ruolo può giocare l’educazione affettiva e sessuale?

Un ruolo decisivo, ma solo se smette di essere un elenco di istruzioni. Serve uno spazio dove parlare, non una lezione frontale che ormai non serve a nulla. I ragazzi hanno bisogno di adulti che sappiano ascoltare i loro turbamenti, le loro fantasie, i loro dubbi, non di manuali comportamentali. Se si fa la lezioncina senza tenere conto delle emozioni sottostanti, ciò che viene insegnato non si trasforma in un comportamento. L'educazione affettiva non dev'essere dunque "didattica", ma un laboratorio di ascolto, dove le emozioni si possono nominare senza paura di essere giudicati e si tiene conto del fatto che ora i ragazzi possono accedere a una quantità sterminata di informazioni semplicemente accendendo uno smartphone.

E le famiglie? Dove possono intervenire davvero?

Di certo non nel controllo ossessivo dei dispositivi, né nelle regole simboliche come il divieto di usare il telefono a cena regola sacrosante, ma che perde efficacia se poi il resto della giornata lo si passa con gli occhi davanti allo schermo. La prevenzione nasce invece dalle domande scomode, quelle che aprono un dialogo autentico. Chiedere che cosa cercano online – anche quando queste ricerche riguardano il sesso – che cosa provano, che cosa li attrae o li inquieta. Significa creare un clima che consenta loro di raccontare. La tutela passa da una relazione credibile, non da un sistema di divieti aggirabili.

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