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Anche i bimbi possono essere depressi, ma la terapia con i genitori può produrre effetti duraturi: lo studio

Seconda uno studio americano, anche i bambini più piccoli possono cadere in disturbi depressivi, tuttavia un intervento psicoterapeutico precoce e che coinvolga almeno un genitore può ridurre l’uso di farmaci e servizi di salute mentale nei giovanissimi pazienti. Agendo già in età prescolare, affermano gli esperti, aumentano sensibilmente le possibilità di possono prevenire disturbi più gravi durante la crescita.
A cura di Niccolò De Rosa
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C'è un aspetto dell’infanzia che spesso si preferisce ignorare: la possibilità che anche bambini molto piccoli, già all’età di 3 anni, possano soffrire di depressione. Una condizione che non solo esiste, ma che può segnare il percorso di vita, aumentando il rischio di problematiche più gravi durante l’adolescenza. Un nuovo studio americano, però, porta una buona notizia: un intervento psicoterapeutico mirato che coinvolga sia il genitore che il figlio in età prescolare può ridurre in modo significativo l’uso di farmaci e dei servizi di salute mentale in preadolescenza, aprendo la strada a un approccio preventivo che potrebbe cambiare molte storie.

Un problema troppo spesso sottovalutato

Molti adulti tendono a pensare che i bambini siano "troppo piccoli per essere depressi". Eppure la scienza ha ormai appurato come la depressione possa insorgere già in età prescolare, con una prevalenza che, negli Stati Unit sia attesta tra l’1 per cento e il 2 per centro, valori paragonabili a quelli osservati nei bambini in età scolare. Come ha spiegato Joan Luby, docente di psichiatria alla Washington University di St. Louis e tra le firme principali dello studio, la depressione nei più piccoli può essere cronica e recidiva, spesso associata ad altre condizioni come disturbi dell’attenzione o comportamentali.ù

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Per contrastare questi esordi precoci, è stato sviluppato un approccio innovativo chiamato Parent-Child Interaction Therapy-Emotion Development (PCIT-ED). Questo intervento coinvolge direttamente il bambino insieme al genitore, con l’obiettivo di potenziare la consapevolezza emotiva del piccolo e insegnare ai genitori strategie per rafforzarne i comportamenti positivi. "Dopo la fine del trattamento, il genitore continua a interagire con il figlio con maggiore sensibilità", ha spiegato Luby, "e questo diventa una calamita per il bambino. La verità è che non c’è niente che un bambino desideri di più di un genitore accogliente e che validi le sue emozioni".

I risultati della terapia durano nel tempo

Pubblicato sul Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, lo studio ha seguito a distanza di quattro anni 105 bambini trattati con il metodo PCIT-ED tra i 3 e i 6 anni. All’età di 8-12 anni, oltre la metà (57,1 per cento) presentava miglioramenti e otteneva diagnosi di remissione. Non solo, i bambini che avevano risposto positivamente al trattamento utilizzavano meno farmaci psicotropi – come antidepressivi o antipsicotici atipici – e avevano meno bisogno di interventi intensivi di salute mentale.

Gli autori hanno però osservato che la presenza dei cosiddetti sintomi esternalizzanti (reazioni "tangibili" come aggressività o comportamenti oppositivi) dopo l’intervento poteva predire un rischio di ricaduta, elemento che ha sottolineato ulteriormento l’importanza di un monitoraggio continuo anche dopo la terapia.

Un investimento sul futuro

Secondo gli esperti, identificare e trattare la depressione il prima possibile non è solo auspicabile ma necessario. Mei Elansary, prima autrice dello studio e pediatra comportamentale a Boston University, ha sottolineato come i sintomi depressivi precoci siano associati a esiti più gravi nell’adolescenza, incluso il rischio di suicidio. Intervenire presto, quindi, può avere effetti di lunga durata, prevenendo conseguenze potenzialmente drammatiche.

Anche Carl Bryce, docente di medicina di famiglia a Phoenix, ha commentato sul sito Medspace i risultati con favore, ricordando che troppo spesso si attribuisce la sofferenza dei bambini a eventi avversi o alla depressione dei genitori, senza riconoscere la possibilità di un vero disturbo depressivo autonomo. "Ogni bambino ha bisogno di un medico di riferimento con cui i genitori possano parlare di qualsiasi preoccupazione, fosse anche il proprio umore", ha affermato, sottolineando la necessità di disporre di trattamenti efficaci e basati su solide evidenze scientifiche.

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