Università e creatività: studiare (nel posto giusto) può renderti più innovativo

L’università intesa come laboratorio per coltivare la creatività e costruire il futuro, un ecosistema che supera il mito dell’individualismo per dimostrare come la vera innovazione nasca dal confronto e non dall’isolamento.
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Passare dal liceo all’università è spaesante. Un vero e proprio cambiamento, forse il primo così radicale, nella vita degli studenti. Al posto della classe, c’è l’aula magna. Il gruppo con i compagni perde la sua priorità, in favore della corsa all’autonomia. L’università viene spesso vissuta – ergo raccontata, come una prova di individualismo: ognuno per sé, responsabile del proprio percorso. Ma non è detto che sia sempre così o che sia l’approccio più funzionale. Per innovare, crescere e trovare la propria direzione, non serve isolarsi. Serve un ecosistema, un ambiente che non favorisca la solitudine ma che stimoli, permetta di fare rete, sia aperto all’ascolto.

In questo senso, le università di dimensioni più contenute offrono un grande vantaggio: relazioni più dirette, docenti più vicini, spazi dove è più facile sentirsi parte di qualcosa. Ed è proprio quando ci si sente parte di un insieme, che è più facile essere creativi, mettersi in gioco e proporre idee. Questo è il meccanismo alla base dell’innovazione: perché la nostra carriera non nasce solo nel silenzio di una

biblioteca dispersiva, ma anche nel confronto quotidiano con chi accompagna, stimola e spinge a vedere oltre.

Il terreno giusto per far fiorire l’innovazione

Se pensiamo che studiare significhi soltanto assimilare nozioni, infatti, rischiamo di perdere di vista il valore più profondo dell’esperienza universitaria. La creatività non nasce nel vuoto: ha bisogno di stimoli, di confronto, di spazi aperti dove le idee possano circolare liberamente. E l’ambiente giusto può fare la differenza. Non si tratta solo di laboratori o biblioteche ben attrezzate, ma di quel clima intellettuale che invita a porsi domande, a trovare connessioni inaspettate, a esplorare punti di vista alternativi.

In contesti universitari raccolti e accessibili, come ad esempio l’Università di Bergamo, il dialogo è diretto e i percorsi sono meno standardizzati. Il sapere non viene solo trasmesso, ma messo in discussione, sperimentato, reso vivo. È in questi spazi che si apprende a collegare discipline diverse, a pensare per ipotesi, a fallire e ricominciare. Sono queste le competenze fondamentali (che nel gergo lavorativo chiamiamo “soft skills”, sempre più preziose) per affrontare un mondo del lavoro in cui l’innovazione è sempre più una necessità, non un lusso.

UniBg: numeri che raccontano un ambiente che ispira

L’Università di Bergamo, secondo il rapporto AlmaLaurea 2025, continua a crescere nei dati occupazionali e nelle esperienze che offre agli studenti. L’87,4% dei laureati magistrali trova lavoro entro un anno dal titolo, un dato superiore sia alla media regionale (82,7%) che nazionale (78,6%). Anche tra i laureati triennali che non proseguono con una magistrale, l’84% risulta occupato entro dodici mesi, confermando la solidità dei percorsi formativi offerti.

Ma non si tratta solo di occupazione. A crescere sono anche gli indicatori che raccontano un’università viva e aperta: oltre l’83% degli studenti lavora già durante il percorso di studi, sviluppando competenze trasversali e una visione concreta del mondo del lavoro. Anche la mobilità internazionale segna un incremento significativo: più del 10% degli studenti parte per un’esperienza all’estero, un’occasione per entrare in contatto con nuove culture e stimolare il pensiero laterale.

È in contesti come questi che la creatività prende forma. E sebbene si insegua l’iper-individualismo, la storia ci insegna che il talento non è isolato, bensì il risultato di una quotidianità fatta di studio, sì, ma anche e soprattutto confronto, sperimentazione e sfide reali. In un’università a misura di persona, il rapporto diretto con docenti e mentor permette di trasformare anche un’aula in un laboratorio di idee, dove la teoria non è mai separata dalla pratica e la formazione diventa un processo attivo. Scegliere l’ambiente giusto significa quindi scegliere di coltivare un approccio aperto, dinamico, capace di generare valore ben oltre l’esame finale.

Come sottolinea anche il Rettore dell’Università di Bergamo, Sergio Cavalieri: «L’aumento della mobilità internazionale, dell’occupazione e della soddisfazione post-laurea testimoniano un’evoluzione coerente con le esigenze del mondo del lavoro e con la nostra missione di apertura e innovazione». Un segnale chiaro: quando l’università non è solo un luogo di passaggio, ma un ecosistema che accompagna, ascolta e stimola, diventa davvero uno spazio dove il futuro prende forma.

Contenuto pubblicitario a cura di Ciaopeople Studios.
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