L’odissea della diagnosi nelle malattie rare: perché servono consapevolezza, formazione e innovazione

Il ritardo nella diagnosi e una presa in carico insufficiente possono compromettere profondamente la qualità della vita di chi convive con una malattia rara. Per questo è fondamentale un approccio integrato, che formi i professionisti sanitari ed educhi la popolazione alla consapevolezza.
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Ci sono viaggi che nessuno vorrebbe intraprendere. Percorsi lunghi ed estenuanti fatti di visite, esami, attese e risposte che non arrivano. Per molte persone con una malattia rara, l’esperienza della diagnosi è proprio questa: un’odissea lunga anni, che incide sulla salute, sulla qualità della vita e sul benessere emotivo (1). Nel contesto delle malattie rare, dove i sintomi possono essere ambigui e i segnali confusi (1), la diagnosi rappresenta spesso una tappa dolorosamente tardiva (2). E ogni anno di attesa è un anno in più di incertezza, paura e, troppo spesso, cure inappropriate.

Ma anche una volta raggiunta la diagnosi, il cammino non è concluso. L’obiettivo finale è l’accesso a un percorso di presa in carico globale, multidisciplinare e continuo, capace di accompagnare il paziente in ogni fase della gestione della malattia (1). Riconoscere una patologia, infatti, è fondamentale, ma non sufficiente: serve un sistema in grado di garantire cure appropriate e sostenibili, supporto, orientamento e monitoraggio, lungo tutto il decorso clinico.

Il tempo diagnostico è un fattore di rischio 

I ritardi diagnostici hanno diversi livelli di conseguenze (1). Un accesso precoce alla diagnosi consente interventi tempestivi, riduce le complicanze e, in molti casi, può fare la differenza (1) tra una vita vissuta pienamente in cui la malattia è solo un fattore col quale convivere e una vita costellata di emergenze in cui la patologia diventa il nuovo asse attorno al quale ruota la nuova routine. Nel caso delle malattie rare, questa urgenza è ancora più marcata. I pazienti si trovano spesso soli, costretti a navigare in un sistema sanitario non sempre pronto a riconoscere condizioni complesse e poco diffuse. Mancanza di formazione, carenza di specialisti, limitato accesso agli esami diagnostici: i colli di bottiglia sono numerosi e contribuiscono ad allungare tempi già critici.

Cosa si può fare? Specializzazione, centri di riferimento e innovazione

Accorciare la distanza tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi è possibile. E le soluzioni, in molti casi, sono già davanti a noi. Formazione medica continua, per rendere i professionisti più consapevoli dei segnali anche quando sono atipici. Reti di centri di riferimento, capaci di collaborare e orientare i pazienti verso strutture competenti. Tecnologie diagnostiche avanzate, dalla genetica alla diagnostica per immagini, che rendono l’identificazione delle malattie rare più rapida e accurata. Ma c’è anche un altro fattore, trasversale a tutte queste strategie: la consapevolezza. Dei pazienti, delle famiglie, del personale sanitario, ma anche dell’opinione pubblica. E questo perché una società informata è in grado di riconoscere l’importanza di intervenire precocemente.

Angioedema Real Life: diario di bordo direzione ITACA, la campagna di Takeda

Tra le malattie rare, l’Angioedema Ereditario (HAE) è un esempio paradigmatico. Una condizione spesso difficile da riconoscere: i suoi sintomi, episodi ricorrenti di grave gonfiore localizzato, possono essere confusi con altre patologie e portare i pazienti a vivere un lungo e frustrante percorso di diagnosi.(1)

È proprio per rompere questa dinamica che nasce “Angioedema Real Life – Diario di bordo, direzione ITACA”, la campagna di sensibilizzazione promossa da Takeda Italia. L’iniziativa racconta in sei episodi il viaggio, clinico ma anche umano, che le persone con HAE affrontano: le prime manifestazioni della malattia, il percorso, a volte frustrante. Passando per la diagnosi, fino alla gestione quotidiana della patologia.

A guidare questo percorso volto a una maggiore consapevolezza sul tema è il divulgatore scientifico Ruggero Rollini. Si stima, infatti, che per circa 1.000 i pazienti in Italia (3). Il racconto dà voce a una comunità troppo spesso invisibile.

Il titolo della campagna fa riferimento alla rete ITACA, che rappresenta oggi in Italia un punto di riferimento in quanto a prestigio e qualità nella presa in carico dell’angioedema ereditario: 26 centri distribuiti sul territorio nazionale, impegnati nella diagnosi, nella terapia e nel supporto ai pazienti.(3)

Ma ITACA è anche una direzione simbolica, quella verso un sistema più consapevole, in cui l’informazione diventa strumento di tutela lungo il percorso. Con il patrocinio di società scientifiche e associazioni di pazienti, e con un linguaggio accessibile alle masse, la campagna ha l’obiettivo di accendere i riflettori su una malattia rara e allo stesso tempo fornire strumenti concreti per riconoscerla, accorciando significativamente i tempi della diagnosi, comprenderla per migliorare concretamente la qualità della vita.

(1) Manning, M. E. (2021). Recognition and Management of Hereditary Angioedema: Best Practices for Dermatologists. Dermatology and Therapy, 11, 1829–1838. https://doi.org/10.1007/s13555-021-00593-x

(2) Zanichelli, A., Farkas, H., Bouillet, L., Bara, N., Germenis, A. E., Psarros, F., Varga, L., Andrási, N., Boccon-Gibod, I., Castiglioni Roffia, M., Rutkowski, M., & Cancian, M. (2021). The Global Registry for Hereditary Angioedema due to C1-Inhibitor Deficiency. Clinical Reviews in Allergy & Immunology, 61, 77–83. https://doi.org/10.1007/s12016-021-08855-43.

(3) https://angioedemaitaca.org/

C-ANPROM/IT/TAKH/0073

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