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Opinioni

Ripresa: i mercati invocano Draghi, ma la vera sfida riguarda Renzi

I mercati finanziari sperano che giovedì da Napoli Mario Draghi, numero uno della Bce, annunci nuove misure straordinarie a favore della crescita. Ma la vera sfida la affronterà Matteo Renzi con la Legge di Stabilità…
A cura di Luca Spoldi
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Ancora una volta i dati macro non sono confortanti in Europa: secondo Eurostat la disoccupazione a fine agosto è rimasta stabile all’11,5% nell’area dell’euro (Ue-18), peraltro riducendosi al 10,1% nell’intera unione europea (Ue-28), il che significa che alla fine del mese scorso dei 24,64 milioni di persone in cerca di lavoro quasi 18,33 milioni abitavano in un paese dell’area dell’euro. Un dato che da solo rischierebbe di rinfocolare polemiche circa i danni che la moneta unica starebbe continuando a causare in un’unione che presenta troppe incongruenze per poter sottostare a vincoli rigidi come gli eurocrati vicini alle posizioni della Germania vorrebbero. Ma oltre al dato della disoccupazione Eurostat oggi ha diffuso un secondo numero, altrettanto preoccupante, quello dell’andamento dei prezzi al consumo, sempre più immobili: a settembre, secondo la prima stima, i prezzi dovrebbero aver registrato un incremento di appena lo 0,3% rispetto a 12 mesi prima, ancora meno che ad agosto (+0,4% annuo).

Male, anzi bene, almeno nell’ottica dei mercati finanziari che infatti sono saliti anche oggi. Disoccupazione elevata e deflazione quasi conclamata a livello europeo possono essere i due assi nella manica di Mario Draghi per far passare, nella riunione di giovedì prossimo a Napoli della Banca centrale europea, la linea delle misure “straordinarie” per cercare di far ripartire l’economia del vecchio continente riflazionandola, ossia iniettando ulteriore liquidità nel sistema sperando che giunga finalmente alle imprese e famiglie facendo ripartire investimenti e consumi. Che non sia necessariamente così semplice è noto, come sono noti gli “altolà” che Berlino continua ad opporre all’idea che la Bce possa diventare di fatto un “prestatore di ultima istanza” se non per gli stati membri (la possibilità che venga lanciato un vero e proprio programma di “quantitative easing” come fatto dalla Federal Reserve americana e dalla Bank of Englan attraverso l’acquisto di bond e titoli di stato sul mercato, resta sullo sfondo anche se non è da escludere del tutto), quanto meno a banche e, indirettamente, imprese. Ma tant’è.

L’idea che Draghi possa alleggerire di 350-400 miliardi di asset (certamente non “a rischio”) i bilanci delle banche europee, senza che le stesse debbano ridurre di altrettanto il credito per rafforzare i propri coefficienti patrimoniali piace al mercato. Piace anche l’idea che una volta resi noti, a fine ottobre, gli esiti della Asset quality review condotta dalla stessa Bce sui bilanci di circa 800 banche europee (alcune delle quali falliranno i test e dovranno ricapitalizzare, come hanno fatto capire sia Andrea Enria, a capo della European Banking Authority, sia Ignazio Visco, governatore di Banca d’Italia, entrambi rassicurando sul fatto che comunque gli sforzi fatti in questi anni in termini di ricapitalizzazione e “alleggerimento” dei bilanci bancari dagli asset a rischio dovrebbero consentire di affrontare senza troppi affanni anche quest’ultima tornata di ricapitalizzazioni), si possa assistere ad una ripresa del settore bancario del vecchio continente.

Una ripresa che, magari, passerà per ulteriori fusioni e acquisizioni, cui in Italia sembrano destinate quanto meno le banche popolari (con Ubi Banca e Bper che per il mercato potrebbero agire da poli aggreganti ad esempio nei confronti di istituti quali Bpm, Banco Popolare, Credito Valtellinese o Veneto Banca), senza escludere che anche istituti come Banca Carige, Mps, Banca delle Marche, Banca Etruria o Banca popolare di Cividale trovino modo di accasarsi. Ma se il tema affascina gli investitori, quanto questo processo servirà a mettere fine alla stretta sul credito che, come ha ammesso oggi lo stesso Ignazio Visco, prosegue tuttora, non è chiaro. Anche perché a ben guardare non è che Draghi abbia margini di manovra così imponenti. L’inflazione “core” (ossia depurata delle sue componenti più volatili come energia e alimentari) è infatti molto meno debole del dato generale e a settembre è prevista pari ad uno 0,8% annuo. Qualche modesta concessione nella stagione dei rinnovi contrattuali magari proprio in Germania o un minimo di ripresa della fiducia dei consumatori e potrebbe ritornare sopra l’1%, molto meno distante dall’obiettivo del 2% annuo raggiunto il quale la Bce dovrebbe, semmai, iniziare a togliere il piede dal gas.

Insomma: se sembra inutile piangere ora sul latte versato nei mesi e negli anni passati, lamentandosi di una valuta eccessivamente forte (che però stasera cala ulteriormente contro dollaro, a poco più di 1,26) e di un’austerità fiscale che in Italia appare più figlia della volontà di mitigare le tensioni sociali evitando di incidere significativamente nelle uniche voci di spesa che potrebbero portare a consistenti risparmi (sanità e previdenza), è altrettanto vano sperare che la “supplenza” della Bce possa da sola compiere il miracolo di far ripartire la crescita a livelli poco più che anemici. Nel frattempo il governo italiano dopo aver ammesso che il Fiscal Compact forse qualche danno l’ha prodotto e sarebbe stato opportuno pensarlo meglio sembra voler prendere atto che il Pil nel 2014 non crescerà affatto (come sta del resto certificando, trimestre dopo trimestre, l’Istat), altro che +0,8% come previsto ancora a fine marzo.

Secondo alcuni, anzi, nella nota di aggiornamento al Def, in uscita in queste prossime ore, Matteo Renzi e i suoi ministri metteranno nero su bianco di prevedere per fine anno un calo del Pil dello 0,3%. Con conseguente deterioramento immediato dei rapporti deficit/Pil  (al 2,9% dal 2,6%) e debito/Pil (vicino al 130% “post riscrittura” del Pil stesso secondo i dettati europei). La luce in fondo al tunnel si allontana sempre più e la Legge di Stabilità diverrà il vero banco di prova della tenuta del governo, visto che accanto a una “correzione” di 15-20 miliardi (contro i 30 di cui si parlava in agosto) occorrerà iniziare a ridurre, finalmente, il cuneo fiscale sul lavoro (si spera tramite l’abbattimento dell’Irap) e rilanciare qualche misura di spesa per investimenti nel settore pubblico, a cominciare da quello scolastico. Chi pagherà il conto e in che misura? Le ipotesi sono le solite già circolate da agosto: pensionati e lavoratori. Speriamo bene.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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