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Opinioni

Sciopero Cgil e Leopolda: questo centrosinistra non può stare più insieme così

Dal sindacato dei mille errori sui precari alla nuova “razza padrona” targata Renzi: due mondi inconciliabili sono incredibilmente nello stesso partito. Ci sarà chi avrà il coraggio per primo di ammettere che sono mondi incompatibili, che è impossibile esprimere il voto per un partito che contiene queste moltitudini inconciliabili, senza restare deluso?
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Ma quante volte gliel'abbiamo sentito dire? «Mai più divisioni». La sindrome della scissione dell'atomo, tuttavia, è dura a morire. E guardiamo, dunque, l'immagine di oggi, l'ennesima sconfortante immagine del centrosinistra italiano, scattata nello stesso giorno (perché la sindrome di quello che si bastona i coglioni è viva e lotta insieme a noi). Guardiamola bene, la foto dell'Italia odierna. Da una parte c'è la piazza romana, rossa di bandiere e rabbia della Cgil, ovvero il sindacato con più pensionati che contrattualizzati, l'organizzazione dai mille errori sui lavoratori autonomi e sui precari, sostenuta da una sinistra incapace di proporre un'idea d'Italia che non si fermi allo zero virgola qualcosa. Dall'altra parte c'è il tappeto fiorentino, rosso di velluto della nuova "razza padrona" che oggi alla Leopolda di Matteo Renzi non è più proposta politica bensì schieramento di partito e lobby, i cui elementi di spicco sono alla guida dei centri nevralgici dello Stato, aspiranti boiardi, altro che giovani promesse. In entrambi i casi, sindacato e renziani hanno dovuto far ricorso alla forza delle piazze e dei numeri, a folle, applausi, tweet, like, selfie, per contrabbandare l'idea di un consenso unanime che non c'è. Le classiche "due Italia" sono ancora lì, a testimoniare che non era il berlusconismo il problema, ma lo era anche (potremmo a questo punto osare e aggiungere "e soprattutto") la proposta che arrivava dall'altra parte, frutto della disgraziata nascita con fusione a freddo del Partito Democratico, il contenitore che tutto voleva contenere e sta finendo svuotato, come un calderone bucato.

Ci sarà chi avrà il coraggio per primo di ammettere che sono mondi incompatibili, che è impossibile esprimere il voto per un partito che contiene queste moltitudini inconciliabili, senza restare deluso? Sarà Renzi e la sua idea d'Italia che parte da Baricco e finisce con Marchionne, passando per i piani di comunicazione con gli slogan, le infografiche, le slide, Instagram, Twitter, gli opinion leader, le War Room, gli ammiccamenti e posizioni ballerine ? O sarà il carrozzone Cgil della Camusso, la Fiom un po' dentro e un po' fuori di Landini; Sel (o meglio quel che ne resta dopo la scissione di Gennaro Migliore, illuminato sulla via del Nazareno) e la minoranza piddina di Pippo Civati un tempo Leopoldino oggi Pierino marginalizzato e numericamente inconsistente? Alla domanda, com'è ovvio, non c'è risposta immediata, all'enigma non v'è soluzione unica. C'è però la fotografia di oggi che sarà archiviata dalla storia italiana come quella del giorno in cui l'elettore del Partito democratico scoprì che in molti casi il «ma anche» in politica è sinonimo di larghe intese. E che le larghe intese sono sinonimo di grandi fregature.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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