Opinioni

Meloni e Schlein litigano sul referendum, ma entrambe hanno grane interne a cui pensare

Giorgia Meloni ed Elly Schlein litigano sul risultato del referendum, su chi ne sia uscita meglio e chi possa intestarsi un risultato. Entrambe, però, dovrebbero più che altro concentrarsi sulle grane interne ai loro schieramenti.
A cura di Annalisa Girardi
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I referendum sul lavoro e la cittadinanza continuano ad avere i loro strascichi politici. Ed è sempre interessante quando praticamente tutti – o quasi – provano a cantar vittoria. La destra lo fa perché ha raggiunto il suo intento: quorum non raggiunto e voto boicottato. Ma anche la sinistra ci prova ad intestarsi un buon risultato, chiamando in causa i numeri assoluti: 13 milioni di elettori che hanno votato sì e che sarebbero più di quelli che hanno votato Giorgia Meloni & company alle ultime elezioni politiche. Un'argomentazione, però, che non metterebbe troppo in difficoltà gli avversari.

Su Repubblica è Giovanna Vitale a raccontare questo scontro:

Hic manebimus optime. Giorgia Meloni appare raggiante, fra le luci e le bandiere del suo studio a Palazzo Chigi. Si mette in posa, scatta un selfie, poi lo posta sui social: «Elly Schlein dice che i voti del referendum dicono di no a questo governo…» sorride beffarda.

Sorride perché lei è saldamente al governo, è l'interpretazione da dare, e la luna di miele del suo partito con i sondaggi non sembra affatto terminata. Vitale prosegue:

Domenica si è astenuta, sfruttando il giochino delle schede non ritirate, ed è convinta di averla vinta lei la sfida delle urne. Perciò sceglie di metterci la faccia, nuovo round dell'eterno duello ingaggiato con la leader democratica. Dopo aver scatenato, il giorno prima, i fidi scudieri pronti a dipingere l'esito del voto come un trionfo per il centrodestra. Il commento mordace in prima persona doveva chiudere la partita. Non aveva però fatto i conti con l'avversaria. «La coerenza, questa sconosciuta!», risponde asciutta Schlein, entrando nel profilo Facebook della premier. Allegato, un post vergato dalle medesima Meloni nel 2016 in cui sosteneva l'opposto di quanto rivendicato oggi, ossia la necessità di aver riguardato per gli elettori che hanno partecipato alla consultazione. Tirato fuori in mattinata pure da Giuseppe Conte per evidenziarne le contraddizioni.

Al di là di vinti e vincitori, la verità è che i temi di questo referendum scuotono internamente tutti e due gli schieramenti. E portano problemi a casa sia per il campo largo che vuole guidare Schlein – ma la segretaria ha una serie di difficoltà da affrontare prima di tutto nel suo stesso partito – che per il centrodestra di Meloni. Perché subito dopo l'affossamento dei referendum, il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, ha deciso di rilanciare la sua proposta sullo Ius Scholae. Una cosa che non è stata particolarmente apprezzata specialmente da Matteo Salvini.

In un'intervista di Marco Cremonesi, sul Corriere della Sera, il leader leghista dice: "Da umile servitore di questo governo e di questa maggioranza, continuo a non capire. Mi pare che i referendum abbiano fatto chiarezza su questo. Anche a sinistra, la legge italiana va bene così come è". Un commento che è arrivato dopo che proprio ieri Salvini si è trovato faccia a faccia con Meloni e Tajani, che appunto ha insistito sullo Ius Scholae. "Sulla cittadinanza il risultato è clamoroso, immaginare scorciatoie è sbagliato. Per questo non capisco perché Forza Italia insista", ha aggiunto.

Ma, come dicevamo, le incomprensioni non ci sono solo all'interno del centrodestra. Sempre sul Corriere della Sera, Maria Teresa Meli intervista Stefano Bonaccini, eurodeputato, presidente del Partito democratico, nonché esponente dell'area riformista dem che non ha mai nascosto le sue perplessità sui referendum. Per Bonaccini bisogna guardare al futuro, non al passato: insomma, bisogna occuparsi di lavoro, ma smantellare il Jobs Act voluto ormai dieci anni fa da Matteo Renzi non è la strada giusta. Alla domanda se serva una direzione del partito, l'ex governatore ha risposto:

Serve avanzare una proposta che guardi al futuro e non al passato, che raccolga le istanze dei 12 milioni di italiani che hanno votato Sì e che provi a parlare anche ai tanti che hanno rinunciato a partecipare, perché sfiduciati o perché non convinti dei quesiti. Ripeto, il nostro compito è avanzare proposte, come abbiamo fatto sul salario minimo, che premetto non basta. I referendum hanno il limite di essere strumenti abrogativi, non di riforma. Il nostro impegno adesso deve essere quello di avanzare proposte di sviluppo, di politica industriale e per il lavoro di qualità.

🕊️ Tra gli altri riformisti che si sono espressi sul risultato, chiedendo di parlarsi all'interno del partito, c'è anche Graziano Delrio. Che, tra parentesi, quelle norme del Jobs Act le aveva scritte con Renzi a suo tempo, per cui era normale che assumesse una posizione di distinguo sulla linea. La cosa interessante è che Delrio, in un'intervista di Franscesca Schianchi su La Stampa, non ha solo chiesto dialogo interno al Pd, ma anche più dialogo con le persone e dialogo con Forza Italia. Rispondendo alla domanda se fosse disposto a lavorare ad una legge anche con Forza Italia: "Il Pd deve certamente dire che è disposto a sedersi a un tavolo per ragionare insieme sul tema. La frustrazione dei ragazzi di seconda generazioni, il loro desiderio di essere italiani di diritto oltre che di fatto, viene prima di tutto".

🎲 Certo, se effettivamente questa ipotesi di un asse tra dem e azzurri sullo Ius Scholae si realizzasse, per la maggioranza porterebbe non poche grane. E in questo momento il centrodestra non se le può proprio permettere. Tra pochi mesi, infatti, si voterà per le elezioni regionali e ci sono già diversi fronti caldi su cui sarà necessario trovare un accordo. Un accordo, che a partire dai nomi dei candidati, rimane lontanissimo. Sul Corriere della Sera Massimo Franco scrive:

Non deve sorprendere che nel vertice di ieri la maggioranza di governo abbia evitato di parlare di elezioni regionali. Non si trattava tanto di rallegrarsi ancora per la disfatta delle opposizioni nei referendum di domenica e lunedì. Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega non potevano affrontare il tema delle candidature perché sono ancora in contrasto sul terzo mandato. La Lega lo vuole, perché risolverebbe a Matteo Salvini qualche problema interno, in particolare con Luca Zaia in Veneto, che secondo la legge di oggi non potrebbe più candidarsi. FdI sembra assecondarlo. FI rimane contraria. Da questa triangolazione la coalizione di governo non riesce ad uscire.

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A Fanpage.it sono vice capoarea della sezione Video. Scrivo, realizzo video e podcast su temi di attualità e politica, provando a usare parole nuove per raccontare il mondo di sempre. 
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