Il vero impatto dell’overtourism e degli affitti brevi in Italia: il nuovo episodio di “Nel Caso Te Lo Fossi Perso”

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C’è un articolo molto bello, pubblicato sul sito della BBC, che si chiama “Is Italy breaking up with you?”. Parla della relazione tra il nostro Paese e tutti i suoi ammiratori, che da secoli viaggiano per venire a vedere la bellezza dei luoghi, la magia della storia, la cultura, il cibo. Insomma: l’Italia per molti è la meta più desiderata. E questo per noi è sicuramente un’opportunità, ma soprattutto negli ultimi anni ha mostrato anche i suoi lati più oscuri. E così, tornando all’articolo della BBC, piano piano sono stati messi dei paletti: niente più grandi navi a Venezia, ad Amalfi i pullman carichi di turisti non possono andare sul fronte mare, basta keybox per gli affitti brevi. Insomma, ci siamo resi conto dell'overtourism.
L’autrice di questo articolo che vi sto citando si chiama Anna Bressanin ed è veneziana. Insomma, viene dalla città che più in assoluto in Italia viene colpita dall’overtourism, cioè da quel fenomeno per cui il sovraffollamento di turisti impatta in modo negativo sia la vita dei residenti che il luogo interessato, in termini ad esempio di sostenibilità ambientale. A metà luglio è uscito l’Indice complessivo di sovraffollamento turistico, elaborato dall’Istituto Demoskopika: si tratta in sostanza di una mappa delle destinazioni più esposte dall’overtourism e ovviamente sul podio non poteva mancare Venezia.
Un attivista intervistato da Bressanin ha raccontato cosa voglia dire vivere oggi a Venezia, soprattutto d’estate. Vi leggo le sue parole: “Possiamo e dobbiamo vivere di turismo, ma non possiamo morire di turismo. Gli americani ci chiedono a che ora chiude Venezia, come fosse un museo”. O meglio, come fosse un luna park, perché è questa la sensazione che si ha un po’ troppo spesso camminando per le calli di venezia. Tutti i negozi, tutte le attività delle vie principali sembrano fatti apposta per i turisti, più che per i residenti che quelle strade le abitano.
Ma del resto bisogna anche fare i conti con il fatto che contro 50 mila residenti, ci sono 140 mila visitatori giornalieri. E questo cambia profondamente una città, le sue attività, la sua capacità di fare comunità. Ci sono zone che prima erano frequentate regolarmente dai residenti che in alcuni periodi dell’anno diventano talmente sovraffollate di turisti, che chi abita in quel luogo le evita. Le attività commerciali si ritarano sulla domanda dei turisti, questo vale per i negozi come per i ristoranti, che così magari rischiano di diventare inaccessibili o semplicementi inutili per i residenti.
E poi, la questione principale, è chiaramente quella delle case. Molti proprietari hanno cambiato il modo in cui affittavano il loro immobile, per avere legittimamente guadagni più alti. Un affitto breve è infatti estremamente più redditizzio di uno a lungo termine. Mettiamo infatti che un appartamento nel centro di Venezia venga affitatto a 100 euro a notte. Mettiamo anche che non sia prenotato proprio tutto il mese. Ma già con venti notti, il guadagno è di 2mila euro. Chiaramente non è una cifra sostenibile per un affitto a lungo termine. O lo è solo per una minuscola fetta di popolazione. Quindi cos’è successo: che mentre sempre più proprietari convertivano le loro case per gli affitti brevi, si è ridotta l’offerta per i residenti e questo ha alzato il costo generale degli affitti.
Ad esempio, prendiamo Milano. Chiaramente gli affitti brevi non sono l’unico elemento che in questa città ha fatto schizzare in alto i costi, ma hanno anche loro un peso in queste dinamiche. Secondo dei dati pubblicati dal Comune tra maggio 2019 e maggio 2024 i prezzi sono aumentati del 16%. Sono cifre pesantissime, per un arco di tempo così breve.
Ma non è solo una questione economica. Alcuni quartieri hanno smesso di essere quartieri intesi come delle comunità di persone che abitano tutte la stessa zona, e sono diventati dei veri e propri dormitori. Con la maggior parte delle case abitate, tra virgolette, da persone che rimanevano qualche notte e poi se ne andavano, ovviamente anche la vita relazionale dei residenti di un certo quartiere è cambiata.
Tutte queste dinamiche hanno spinto i residenti a lasciare alcune zone, specialmente quelle più centrali. Il sito PagellaPolitica fa l’esempio di Roma, citando i dati del bollettino statistico del Comune. Questi ci dicono che tra il 2016 e il 2021 la popolazione del primo municipio, cioè del centro storico, è diminuita del 5%. Al tempo stesso è aumentata in alcune zone periferiche, cioè nel settimo e nel nono municipio.
Non è un caso, viste tutte queste dinamiche, che anche in Italia negli ultimi anni ci siano state delle vere e proprie manifestazioni di protesta. Ad esempio, qualche mese fa a Firenze alcuni attivisti hanno iniziato ad appiccicare delle grosse croci rosse sopra le keybox in giro per la città, cioè sopra le cassette in cui i proprietari degli appartamenti affittati ai turisti lasciano le chiavi, in modo che si possa entrare in autonomia.
Firenze non è stata l’unica. Altre proteste ci sono state a Milano, a Venezia, a Napoli. Insomma, c’è sicuramente un dibattito in corso che va avanti ormai da molti anni. Si discute delle possibili soluzioni, ad esempio di come regolare i flussi o diversificarli, promuovendo ad esempio mete meno conosciute. C’è anche chi prova soluzioni come quella del ticket di entrata o dell’aumento dei prezzi per alcuni siti, su cui però ci sono opinioni molto contrastanti.
In tutto questo la ministra del Turismo, Daniela Santanché, è spesso intervenuta dicendo che non abbiamo troppi turisti in Italia, dobbiamo solo gestirli meglio, in modo da trasformare la nostra eredità storica e culturale in una rendita. Rimane un po’ senza risposta la domanda sul come farlo.
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