Opinioni

Logica securitaria e paura del dissenso: il governo getta la maschera col decreto Sicurezza

Tra le proteste dell’opposizione, è diventata legge una delle teorie più strampalate in assoluto della destra: che si possa garantire più sicurezza aumentando il numero di reati e criminalizzando la marginalità sociale.
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La conversione in legge del decreto Sicurezza, uno dei peggiori provvedimenti del governo Meloni, ha avuto ampia eco mediatica non soltanto per la sua rilevanza intrinseca. Le opposizioni hanno scelto, infatti, di interpretare il loro compito con grande aggressività, prima con una serie di iniziative sul piano comunicativo, poi dando battaglia in Commissione e in Aula, anche ricorrendo a metodi di protesta piuttosto scenografici e certamente non regolamentari. Si sta discutendo molto in queste ore sulla legittimità e l’opportunità di sit-in, esposizione di cartelli e via discorrendo, ma francamente credo che il discorso sull’etichetta possa per una volta lasciare spazio alle questioni di merito.

Sul punto, la valutazione di chi scrive è netta: questo è un decreto repressivo e pericoloso, che tradisce una chiara impostazione del governo in particolare per quel che concerne l’espressione del dissenso e le condizioni di marginalità sociale. Peraltro, è molto discutibile (e criticatissimo dagli addetti ai lavori) anche il metodo scelto per approvare il provvedimento, con l’apposizione della questione di fiducia, ma soprattutto l’introduzione per decreto di nuove fattispecie penali. Un’anomalia che avrebbe forse meritato maggiore attenzione dal Quirinale.

Sono diversi gli interventi sulla stampa italiana volti a manifestare perplessità rispetto ad alcune previsioni della nuova legge. L'Unità, per esempio, parla di "decreto fascistello", ma dure critiche arrivano anche da Avvenire, Fatto e quasi tutti i giornali progressisti. Per la nostra consueta rassegna, ve ne ho selezionati alcuni degni di particolare attenzione. Molto interessante è l’intervista di Marika Ikonomu per Domani alla professoressa dell’Università di Perugia Tamar Pitch, in particolare per questi passaggi:

Come si produce la "percezione" di sicurezza? Sterilizzando il territorio pubblico, mandando via i cosiddetti in-desiderabili, quelli che danno fastidio, o fanno paura. A chi? Se guardiamo bene le politiche di sicurezza, vediamo che esse sono indirizzate perlopiù a rassicurare un particolare tipo di soggetto: uomo, bianco, non ricco ma nemmeno troppo povero, certo non gio-vanissimo, visto che molte di queste politiche penalizzano i più giovani. Le figure della paura sono sempre le stesse: i "diversi", i mendicanti, i migranti troppo visibili, i e le sex worker, quelli che lavano le macchine ai semafori o fruga-no nei cassonetti.

[…] Vengono criminalizzati dissenso e povertà, e chi non è come "noi". Sono i capri espiatori. Di fronte a un ceto medio impoverito e infragilito, sembrano le risposte da dare.

[…] Solo proclamandosi vittime di qualcuno o qualcosa si riesce oggi a essere riconosciuti come interlocutori politici. Si fa un uso e un abuso di questo statuto, di cui si servo-no poi anche le politiche di sicurezza. Chi sono le vittime? Tutti i bravi cittadini, potenziali vittime dei cattivi. Così si divide la popolazione e le persone "per bene" sono sempre a rischio di vittimizzazione da parte dei "per male".

Andrea Fabozzi sul Manifesto, tocca un altro aspetto importante: la logica di base dietro una scelta del genere risponde a una visione di società securizzata, in cui dissenso e marginalità sono visti come problemi a prescindere. Più nel dettaglio:

Ascoltando i senatori della destra, abbiamo scoperto che le nostre città sono sull'orlo del collasso criminale. Insicurezza diffusa, furti e scippi da parte di donne armate di figli, rivolte agli angoli delle strade e negozianti in preda al terrore, sparatorie, migranti sbarcati a legioni con l'unico scopo di commettere reati, case espropriate, anziani derubati, sfrattati e infine anche truffati.

[…] Ma la costruzione di emergenze non è un tic paranoico, o almeno non solo: è soprattutto un preciso metodo di governo. I lavori preparatori del decreto sicurezza li abbia-mo visti nei servizi della tv del pomeriggio. La svolta repressiva che la Gotham city nazionale giustifica e introduce scatterà non sul piccolo crimine che dell'inasprimento delle pene non si è mai curato (il grande crimine continui pure tranquillo e condonato) ma sui poveri, le vite al margine e sulle proteste e le lotte sociali. Non per niente le nuove norme sono disegnate come tante camicie di forza per lavoratori precari, attivisti di ogni genere e movimenti che denunciano la crisi climatica.

Già, il dissenso, le manifestazioni di protesta, l’opposizione nelle strade e nelle piazze. È uno degli obiettivi non dichiarati ma ricercati dalla maggioranza di governo, spiega Concita De Gregorio su Repubblica:

Che il decreto sicurezza, insomma, serva a mettere preventivamente in sicurezza il governo stesso, non certo i cittadini. Che serva a mettere chi governa al riparo da contestazioni, disordini. Agitare il manganello ancor prima che serva. Dissuadere dall'ipotesi di. Che si manifesti il meno possibile, che il dissenso resti nelle reti e nei pollici sui social. Che nessuno si azzardi, insomma. Ma inasprire le pene non ha mai funzionato, nella storia, ad evitare che le libertà si manifestino. Anzi. Ha esasperato. Vedremo.

Su quest’ultimo aspetto, vi segnalo anche una voce in controtendenza, quella di Ermes Antonucci sul Foglio. In un pezzo comunque piuttosto critico sulle scelte del governo, il giornalista scrive:

Difficile da biasimare anche la trasformazione in illecito pena-le (e non più amministrativo) del blocco stradale attuato mediante ostruzione fatta col proprio corpo. Fino a oggi questa condotta era punita con una multa, che i manifestanti ammettevano tranquillamente, ridacchiando, di non pagare. La minaccia di una pena della reclusione da sei mesi a due anni potrebbe generare un maggior effetto deterrente.

Che questa gigantesca operazione repressiva possa servire come deterrente per qualche decina di manifestante, già sarebbe discutibile. Figuriamoci se dovesse essere l'unico obiettivo concreto.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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